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“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

domenica 9 dicembre 2018

Educare i millennials nell’era degli smartphone e di Papa Francesco

Nei giorni scorsi è stato pubblicato su Rai News un interessante articolo sull'educazione dei "millenials" nell'epoca degli smartphone e di Papa Francesco. L'aritcolo contiene una bella intervista a Pierluigi Bartoleomei che riportiamo.

Per leggere l'articolo originale: rainews.it - Educare i Millennials....
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Papa Francesco ci ricorda nel documento sulla Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che “La famiglia è, più di ogni altro, il luogo in cui si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell’andare d’accordo. È il primo luogo dove impariamo a comunicare…abbracciatevi, sostenetevi, accompagnate chi vi sta accanto, decifrate i suoi sguardi e i suoi silenzi, condividete il pianto e la gioia, tra persone che non si sono scelte, ma tuttavia così importanti l’una per l’altra. Ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia”.


Ricorda il Vescovo di Roma che non esiste la famiglia perfetta. Ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva”. Quindi la comunicazione deve essere al servizio di un’autentica cultura dell’incontro. La sfida che oggi ci si presenta è reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione.
Abbiamo incontrato il Direttore Generale della scuola di formazione Elis di Roma Pierluigi Bartolomei, conosciuto dai suoi circa 1500 ragazzi come il preside di “frontiera”. Felicemente sposato, con 5 figli è anche docente di Comunicazione e Public Speaking, con un passato da aspirante attore cinematografico e una forte passione per il teatro specialmente per il cabaret.



Professor Bartolomei, come ci dobbiamo comportare con i nostri figli davanti a questa rivoluzione tecnologica?

Lo sviluppo tecnologico è un processo irreversibile. La metafora uomo- cavallo-spada, che in qualche modo difende i confini, è superata dalla metafora uomo- tastiera-schermo. Ormai la scacchiera sulla quale ciascuno di noi gioca le proprie mosse è una scacchiera di cui non si conoscono i confini. Una volta quando si educava, avevamo la certezza di conoscere la scacchiera e la vedevamo, e avevamo ogni giorno chiare quali erano le mosse che avremmo fatto quella mattina. Oggi non è più cosi, siamo davanti a una rivoluzione che cambierà la nostra vita. E pensare che fra poco avremo il gemello digitale, dove potremo clonarci…2, 3, 4, 5 volte, e fare cose per noi mentre dormiamo.



Ma questo cambiamento sembra preoccupare molto i genitori…

Il nostro cervello si adatta poco al cambiamento, il cervello ne ha paura, è un agire molto umano, ma è l’unica vera garanzia che metterà sempre sul piatto della bilancia ciò che realmente siamo… umani. Ora se questo è lo scenario, oggi più che mai le parole di Papa Francesco, di mettere al centro di ogni impresa umana l’uomo, sono fondamentali. Quello che dovremo fare con i nostri figli è dare in eredità la nostra testimonianza, dare il nostro esempio di vita che sia coerente con i nostri valori: se questo è valido non bisogna parlare con i figli. Per esperienza pratica, si riesce poco, tanto più in età adolescenziale, i figli non ascoltano più e non hanno desiderio di ascoltare una persona che è del ‘900. Quindi non possono riconoscersi in quello che diciamo. Una testimonianza vera, però, generatrice, fa sì che il figlio segua le orme del padre.



E quindi?

A questo punto scattano i valori che hai seminato durante gli anni di apprendimento, l’approccio con la tecnologia va fatta, l’unica cosa è aiutarli a essere se stessi, ad approcciarsi alla rete con i valori che nascono da quella testimonianza di cui parlavamo prima. E utilizzeranno la rete cosi come loro desiderano, con il loro essere persone. Diversamente si farebbero appiattire, fagocitare dalla rete, e i risultati diventerebbero imprevedibili. Invece devono arrivare a discernere.



Come possiamo rendere attraente il concetto di famiglia per i nostri figli?

Nell’ educazione dei figli ci sono tre parole che sono fondamentali… “Fateli crepare d’invidia!”



Mi scusi, in che senso?

Significa che loro nascano e crescano in una famiglia da cui sono fortemente attratti, andare d’accordo con la moglie, con il marito, che a volte bisticciano, ma che nel profondo vanno d’accordo e poi fanno pace…questo è un esempio. I genitori devono condurre una vita che sia attrattiva per i propri figli, bombardarli il meno possibile, vivere le sconfitte insieme, ma rialzandosi. Anche la fede può essere odorata all’interno della famiglia, l’unico posto dove si può rigenerare, in piena libertà, senza imporre nulla. Far diventare la nostra casa un focolare luminoso, allegro. Ma poi lasciarli liberi nelle loro scelte. Quindi evitate di essere autoritari, punitori, proibizionisti, di dare comandi, input…Cerchiamo di evitare le frasi fatte come ‘Fai come ti dico io!’…oppure ‘Tu devi essere come me! Guarda tuo padre’. Tutto questo rende per niente attrattivo il concetto di famiglia.



Secondo Lei quali sono le grandi sfide educative?

È quello di attrarli all’istruzione. L'Italia è, dalle ultimi indagini OCSE-PISA, il penultimo paese in Europa come capacità di comprensione del testo, capacità di logica e matematica, questo significa che le persone non sono più attratte dalla cultura, dall’arte, dai filosofi, dai grandi pensatori. Don Milani, 60 anni fa andava nelle campagne strappando i figli ai contadini e supplicandoli di farli studiare, nonostante li avessero messi al mondo per lavorare la terra. Lui si arrabbiava molto, perché i genitori non potevano sottrarre i figli da un loro diritto, il diritto di essere istruiti, perché il non studiare rende infelici, delle nullità assolute, per cui li portava in canonica e insegnava loro a leggere e scrivere. Quello che voglio dire è che dovremmo avere dei grandi testimoni del desiderio, con degli educatori che abbiano la vocazione vera a servire e con dei genitori che si sentano la responsabilità di questa funzione educativa e che studino, migliorino da un punto di vista educativo, la loro performance da padre, da genitore.



Cioè?

I ragazzi non possono venire a scuola in maniera ‘stitica’, perché forzati, solo per volontà, ma devono trovare delle persone che in qualche modo trasformino quel libro, quel sapere, in un corpo…perché quella materia possa essere desiderata, ad esempio quando gli alunni, nonostante il suono della campanella che segna la fine dell’ora, chiedono al professore di continuare la sua lezione, perché è bella! Se c’è questa dimensione forte con il sapere, con l’istruzione, con la conoscenza, allora effettivamente la scuola non ha bisogno di un palazzo, ma può essere fatta in qualsiasi parte. L’altra sfida sta nella famiglia, perché se io do un luogo alla cultura, e poi manca il luogo della dimensione affettiva forte, che sostiene, che dà coraggio, che aiuti a crescere, i nostri ragazzi vivranno in maniera provvisoria, di rapporti provvisori, all’avventura, alla giornata. Quindi queste due cellule devono funzionare, prendendosi le loro responsabilità, nella libertà. Scuola e famiglia non esistono l’una senza l’altra.



Quale proposito noi genitori possiamo mettere sotto l’albero?

Gli adulti in questa fase storica stanno facendo molto poco, sono presi da questa ‘professionite’. Se un genitore passa dodici ore nel suo ufficio, perché è innamorato dell’ultima ‘pratica’, evitando di tornare a casa perché deve lì affrontare altre pratiche, forse più impegnative; se un padre non è presente alla recita di suo figlio, anche se ricopre un ruolo marginale, quello che spicca nel giovane è l’assenza del padre, o della madre. Se un padre o una madre non riconoscono in ciascuno dei loro figli un talento, com’è nella natura di ciascuno di noi, se non lo amano così com’è, se ne mortificano la performance scolastiche, tutto questo non dà senso alla vita di un figlio ed equivale a dire ‘non ne vale la pena’.

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