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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

mercoledì 26 giugno 2019

Compiti per le mancanze (Letti da rifare 65, Alessandro D'Avenia)

Molto interessante l'articolo pubblicato da Alessandro D'Avenia lunedì 24 giugno all'interno della sua rubrica "Letti da Rifare"  (ogni lunedì su "Corriere della Sera".

Ne pubblichiamo una sintesi, mentre l'intero articolo è leggibile qui


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Le «mancanze» di creatività, generosità, iniziativa, sono strettamente collegate alla mancanza di «sentimento della vita» e non uso «sentimento» per indicare un’emozione, ma la relazione profonda di cuore e testa, uniti, con l’essenziale. Siamo l’unico essere al mondo che «si sente vivere», cioè capace di dire: quello a cui accade questa cosa sono io. Quindi più entro in contatto profondo con «i materiali della vita» più si approfondisce il mio sentirmi vivere, cioè il senso della mia vita, l’unica cosa capace di renderci felici perché ci strappa dall’indifferenza, il cancro della vita spirituale. Non dimenticherò mai le fughe dalla finestra nell’ora del coprifuoco pomeridiano durante la villeggiatura al mare. Avevo sei o sette anni e mi obbligavano a riposare per recuperare le forze prosciugate dal sole e dal sale ma, quando calava il silenzio, aprivo cautamente la serranda e sgattaiolavo fuori. Camminavo senza meta, esplorando la natura circostante e mi spingevo fino alle dune che nascondevano il mare, mi sembrava tutto pericoloso e straordinario. Studiavo ogni cosa: rumori, animali, reperti; inseguivo lucertole, scarabei e farfalle; inventavo giochi, avventure e tesori. Mentre scrivo questi ricordi sento gli odori e vedo i colori, tanto sono impressi nella mia memoria. Qualche estate dopo, tredicenne, in quella stessa stanza ci rimanevo volentieri perché mio fratello mi aveva prestato un libro che rapiva le ore del coprifuoco pomeridiano. Mi immergevo nelle 1.200 pagine del Signore degli Anelli con lo stesso stupore con cui anni prima scappavo per esplorare il mondo frastornato dalla calura e dalle cicale. Nell’uno e nell’altro caso si trattava di due ore, come quelle di Calvin, dedicate alla scuola dello stupore: la parola scuola viene dal greco scholè, che significava «tempo libero». La densità di ciò che mi veniva incontro era tale che si trattava di veri e propri «eventi», cioè quei fatti che si impongono all’attenzione perché talmente «traboccanti di significato» da diventare chiamate alla vita. In quelle ore ho maturato un profondo «sentimento della vita»: avventura, esplorazione, silenzio, osservazione, lettura, stupore, paura, solitudine buona… Ho imparato a incontrare le cose semplici ed essenziali, e a cercarle in tutto ciò che faccio. Questo mi ripara da quella artificiosa complicazione oggi spacciata per intelligenza e profondità e che, spesso, è il contrario: pigrizia di fronte alla verità che si offre ai nostri occhi. Per esempio, a scuola, abbiamo sotto gli occhi l’essenziale, il traboccante di significato: i ragazzi, e invece di occuparci di loro, siamo più preoccupati da programmi, burocrazia e chissà cos’altro, per poi nasconderci dietro analisi raffinatissime sul perché i giovani d’oggi siano ridotti così… Una vera rivoluzione non comincia mai dalla distruzione ma da un rinnovato atto di comprensione dell’evidente: com-prendere vuol dire «prendere insieme» qualcosa, testa e cuore uniti. Dovremmo ricordarlo noi italiani, che possiamo indicare, con un unico verbo, sia l’azione di capire qualcosa («ho compreso il punto») sia quella del sentirne la vita («ti comprendo»).

giovedì 13 giugno 2019

La famiglia, l'educazione familiare, é scuola di realismo

Tratto dal libro "Educazione e insegnamento - statalismo o libertà" di Estanislao Cantero Nuñez (Ed. Speiro, Madrid 1972) riportiamo qui la prima parte del capitolo II ("A chi spetta insegnare")

(intera traduzione del libro qui - tradizione di David Botti)

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Michel Creuzet ha esposto con perfetta chiarezza le ragioni per cui é alla famiglia che compete l’educazione dei figli, ponendo in risalto quattro ordini di motivi:
- il perfezionamento della vita umana,
- l’attitudine naturale dei genitori ad educare,
- il naturale equilibrio dell’ambiente familiare,
- la prova dei fatti.
L’uomo, dal momento della nascita, si muove nell’ambiente familiare; appartiene alla famiglia. E’ vero che fa anche parte di una società, di una nazione e che é suddito di uno Stato; ma é la famiglia - di fatto e di diritto - dove prima vive e si sviluppa. L’istinto di conservazione e, in genere, le qualità che gli animali hanno sin dall’infanzia, sono completamente assenti dal bambino. Egli necessita delle cure della famiglia, in particolare della madre, per i suoi primi anni. La famiglia é incaricata dalla natura stessa di badare e guidare il bambino nel corso della sua crescita e formazione: é in essa che prima e primordialmente acquisisce quegli abiti che l’educazione gli deve impartire.
Il bambino acquisisce le prime conoscenze in famiglia. Come scrive Michel Creuzet "il primo risveglio del suo spirito ha come centro la famiglia. I genitori non sempre possiedono la capacità di elevare il livello delle sue conoscenze di molto. In ciò potranno venire aiutati da altre comunità. Ma il fatto é che, normalmente, é nella famiglia in cui si assorbono le prime conoscenze, soprattutto stando vicino alla madre. Ivi si acquisisce il senso della realtà, il buon senso, di cui il giovane avrà tanto bisogno nel momento della sua formazione intellettuale, se vuole rimanere equilibrato".
E’ nella famiglia in cui "si acquisisce, normalmente, il senso della verità. I genitori degni di questo nome combattono le bugie sin dall’infanzia. Siccome amano i propri figli e figlie, non tollerano che la visione soggettiva delle cose, i sogni, prendano il sopravvento sulla realtà" (3).
La famiglia, l'educazione familiare, é scuola di realismo. Non può acconsentire, e non acconsente, a che l'utopia s'imponga sulla realtà. E' in essa che la natura - cioè le abitudini e la ragione, che sono elementi dell'educazione - ottiene il miglior sviluppo per il bambino, in quanto mezzo più naturale.
Nella famiglia si raggiunge il perfezionamento della vita umana in modo molto migliore che al di fuori di essa, per quanto "perfezionati" siano i centri nei quali si "rinchiudano" i bambini, perché una delle caratteristiche della famiglia é l'amore che unisce i suoi membri.
Quest'amore rende possibile la salvaguardia da possibili carenze ed é la base dell'educazione dell'infanzia e dell'adolescenza: non c'è nulla di meglio per una buona educazione. I genitori, volendo educare i figli nella verità, insegnano loro sin da piccoli che non si deve mentire e li riprendono con soavità quando ciò accade; volendoli educare al bene, li avvertono di non cercare altro che questo e li allontanano da tutto ciò che é nocivo. I figli accettano la volontà dei genitori per l'affetto che loro portano, per quell'amore che fa sì che quanto dicono i genitori sia sempre vero e fa sì che per essi i genitori rappresentino la sapienza e la bontà.
Quest'amore, per il quale si sopportano gli oneri più pesanti con pazienza, non dura solo i primi anni, ma - con forza maggiore o minore - si estingue solo con la morte.
Le possibili eccezioni non valgono a smentire quanto é universalmente provato nei fatti di generazione in generazione.
Se proprio ai nostri giorni l'amore familiare tra genitori e figli non sembra così forte, è perché, in un modo o nell'altro, si é smesso l'esercizio dei doveri che esso esige, sia per la negligenza dei genitori (che abbastanza frequentemente si sono abituati a portare i figli nei collegi, senza preoccuparsi dell'educazione che vi viene impartita), che a causa di dottrine pedagogiche - politiche o pretestuosamente religiose - che, per difendere la cosiddetta formazione autonoma della personalità infantile, lo abbandonano a se stesso, specialmente nell'ambito morale, rompendo i legami che precedentemente univano genitori e figli, facendo allontanare i genitori e raffreddandone l'amore.
Non é l'amore, ma piuttosto sua la mancanza a provocare certe situazioni. L'amore presuppone il rispetto e la sopportazione, il riprendere e il castigare quando é necessario. Se queste cose mancano oppure senza vero amore, come sarà possibile una buona educazione?
E' proprio la mancanza di vita familiare che fa crescere il bambino maleducato. Dove manca la famiglia, la delinquenza, ad esempio, é proporzionalmente maggiore.
Alcune teorie sostengono che debba essere lo Stato ad occuparsi dell'educazione dei bambini, il che costituisce un autentico attentato contro la natura: lo Stato non é né padre né madre. Lo Stato non ama: in qualche caso ci potrà essere amore verso determinati bambini da parte di alcuni suoi funzionari, ma mancherà l'amore basilare di cui ogni bimbo ha bisogno e che riceve nella sua famiglia.
Il bambino fa parte della famiglia, partecipando di quanto essa é e di quanto in essa esiste. Come segnala Creuzet, il bambino é un erede: erede di un retaggio morale, spirituale e materiale, "eredi, i bambini non si trovano nella famiglia, ma sono della famiglia. Non sono corpi estranei, ma rami dello stesso albero destinati a crescere ricevendo la stessa linfa di saggezza" (4).
Nella famiglia, il bambino cresce in modo equilibrato, perché si sviluppa nell'ambiente più naturale; in essa apprende a conoscere e ad amare quanto lo circonda, dando vita ai legami sociali più durevoli, stabili e più necessari alla vit.
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Note :  Cfr. Michel Creuzet, L’Enseignement, Club du livre civique, Parigi 1965, pp. 10-23.