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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

mercoledì 29 agosto 2018

MASSIMO RECALCATI: "Amare le differenze del figlio"

Massimo Recalcati parla dell’impostura dell’empatia: molto spesso empatizzare con i figli significa convincerli, imporre loro la nostra visione del mondo. A suo parere, “il dono più alto della genitorialità sta nel riconoscere la differenza del figlio, la sua incomprensibilità, il suo segreto”. Per fare questo bisogna avere fiducia nel desiderio del figlio, lasciare che questo si rafforzi. I legami che durano nel tempo si fondano sull’incomprensibilità: io amo mio figlio, non perché mi assomiglia, ma perché lo vedo diverso da me. La parola del padre un tempo chiudeva i discorsi, ora ha perso potere. Prima i figli avevano il dubbio se i genitori li amassero abbastanza, ora il paradigma si è rovesciato: sono i genitori a non sapere se i figli li amano abbastanza. È il figlio a dettare legge alla famiglia con il suo dammi. Esordio della tragedia di Edipo: l’oracolo dice a Laio che il figlio lo ucciderà ed è quello che succede a tutti. Se il padre non sa donare al figlio il proprio tramonto si va incontro al disastro. I padri devono fare spazio alla vita dei figli. La parabola del figliol prodigo ci mostra un padre che sa tramontare, che sa lasciare andare il figlio e sa farlo tornare. Il figlio giusto è quello che sa essere erede: l’eredità non è fedeltà al passato, ma fare esperienza del mondo, del viaggio, diventare un figlio nuovo, giustamente eretico.



Massimo Recalcati è nato a Milano (1959). È membro analista dell’Associazione lacaniana italiana di psicoanalisi. Dirige l’IRPA (Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata) e nel 2003 ha fondato Jonas Onlus (Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi). Scrive sul quotidiano “la Repubblica” e insegna all’Università di Pavia e di Verona. È autore di numerosi libri, tradotti in diverse lingue, tra cui Cosa resta del padre? (2011) e Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre (2013).Segreto del figlio (2017).

giovedì 23 agosto 2018

Educare ad un'umanità nuova significa fare memoria dei nostri passati. La relazione del Prof. Duccio Demetrio


Pubblichiamo qui un estratto dell'importante relazione tenuta dal Prof. Duccio Demetrio nel corso del convegno "Educare a una nuova Umanità, dialogo e confronto con le prospettive antropologiche della cultura contemporanea" Molfetta, 27 febbraio 2015.


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“Oggi ci sono culture contemporanee, mai una sola cultura. Ci sono le molte culture, ci sono i conflitti fra le diverse culture, culture all’interno del nostro mondo, culture che appartengono ai mondi più diversi, i conflitti stanno raggiungendo livelli assolutamente drammatici e di guardia e anche questo rapporto, quindi al plurale, con le culture, non può essere indifferente rispetto ai problemi, alle problematiche educative.

Qui in Puglia so che, anche tra i colleghi universitari della vostra Regione, c’è sempre stata una grande attenzione al discorso dell’incontro tra culture, tra lingue, tra diversità. E questo costituisce già un motivo, forse il primo che sto pronunciando, di grande comunanza, di grande interesse reciproco, per l’aiuto che possiamo fornire a chi è approdato sulle nostre terre e continua, angosciantemente, ad approdarvi.

Ma la nostra possibile interazione di idee, di pratiche, di gesti e di atti, si sperimenta anche qui ! Si sperimenta soprattutto qui, venendo incontro alle solitudini, alla perdita di identità, allo sradicamento, alla morte possibile. Ecco innanzitutto quindi il “plurale”.

Ed educare però anche ad una umanità nuova significa, a mio dire, domandarsi a quali umanità importanti, a quali umanesimi importanti, dobbiamo fare riferimento; non solo in una visione verso il futuro, verso il possibile ma in rapporto alle umanità che ci hanno anche preceduto, alle umanità che hanno lasciato messaggi e princìpi e valori che dobbiamo forse riprendere e riproporre senza timore del vecchio, talvolta anche dell’antico; e quindi guardare verso una umanità nuova significa non voler dimenticare. Recentemente ho letto, con grande interesse, un articolo di Jean-Louis Bruguès , apparso su “Vita e pensiero”, rivista dell’Università Cattolica, dal titolo “Il valore della memoria nel messaggio cristiano”.

Mi ha molto colpito.

Leggo soltanto un frammento per tentare di spiegare meglio cosa intendo per “cruciale relazione col passato e con la memoria”. Io so che per i credenti il rapporto con la memoria è un rapporto fondamentale, è un rapporto che mette in evidenza quel messaggio straordinario: agite in memoria di me! Cosa sostiene questo studioso? «È dunque evidente che l’atto del ricordare ricopre una doppia funzione. Da una parte permette di accedere all’identità, e in questo caso all’identità di Dio, ma il dato vale anche per gli essere umani. Se non conosco il mio interlocutore, gli domando di ricordarmi fatti passati, le circostanze dell’incontro precedente che mi permettano di collocarlo e identificarlo. D’altro canto l’atto del ricordare istituisce un patto di reciproca fiducia. È proprio perché Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto che il popolo può dar credito alle sue richieste, alle sue promesse. Ma questa osservazione ha valore anche per la vita sociale. È proprio perché conservo la memoria della benevolenza ricevuta da qualcuno che mi posso fidare di lui».

Ecco, oggi forse per molti la memoria è una moneta che non vale nulla, che si tratta di spendere subito, nel presente. Io credo che tra un pensiero laico e non credente consapevole ed un pensiero religioso, la memoria invece possa costituire uno dei momenti più alti, più importanti, non tanto di difesa del vecchio, di ciò che è inesorabilmente, anche per nostra fortuna, divenuto ormai obsolescente; ma c’è una memoria che fertilizza il presente, che fertilizza il nuovo. Ecco questo è un aspetto che voglio richiamare perché indubbiamente si ricollega al tema dell’educazione. Non possiamo pretendere di educare astenendoci dal riproporre ciò che è stata la storia; la storia non soltanto nella sua vastità e complessità, ma la storia individuale, la storia personale. Oggi il grande interesse che va suscitando un argomento del quale mi occupo da una decina di anni, che è l’argomento della soggettività autobiografica, rappresenta, dicevo, un interesse anche tra i più giovani, a mio parere molto incoraggiante. Perché scrittura autobiografica non significa soltanto abbandono al proprio narcisismo, al proprio edonismo.

Scrittura autobiografica vuol dire avere il coraggio di guardare qual’è stata la propria storia, quali memorie portiamo dentro di noi e che cosa è bene ed è necessario non obliare, non dimenticare, per diventare quindi di nuovo protagonisti di una propria soggettività che può essere stata ferita e offesa”

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Duccio Demetrio insegna Filosofia dell'educazione all'Università degli Studi di Milano Bicocca. Direttore della rivista Adultità, è fondatore della LIbera Università dell'Autobiografia di Anghiari e della Società di Pedagogia e didattica della scrittura. Ha pubblicato, fra l'altro, Raccontarsi (1996), Elogio dell'immaturità (1998), Autoanalisi per non pazienti (2003), Filosofia del camminare (2005), La vita schiva (2007).

sabato 4 agosto 2018

Cinque domande a Daniela Lucangeli per capire cosa sono le emozioni e come influiscono sull’apprendimento

Qual'è l’insegnante che ottiene migliore apprendimento dai suoi allievi? Quello che trasmette maggior allegria. Le emozioni, infatti, hanno un ruolo molto importante nella qualità dell’apprendimento degli alunni. Questo principio, noto agli insegnanti da secoli di osservazione, è oggi suffragato dalle scoperte delle neuroscienze, che non molto tempo fa hanno dimostrato l’esistenza di una connessione neurale tra sistemi emotivi e sistemi cognitivi.

«Dobbiamo andare verso un “apprendimento caldo”. Se si vuole che i bambini imparino ottenendo il meglio da sé,  è importante ritornare a insegnare con il sorriso», dichiara Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo presso l'Università degli Studi di Padova ed esperta di psicologia dell'apprendimento. «Le emozioni accompagnano ogni esperienza di apprendimento. Ed è a scuola che si vivono le esperienze più importanti della crescita e con le figure più significative: gli insegnati e i compagni. Se noi impariamo con paura, anziché con serenità, tutte le volte che riprendiamo dalla nostra memoria quello che abbiamo appreso riportiamo anche le emozioni con cui abbiamo appreso, e quindi la paura. Dobbiamo spingerci verso un’alleanza educativa in cui l’insegnante non è un giudice, ma una persona alleata anche nell’errore».

Come più volte sottolineato dalla Professoressa Lucangeli nei suoi interventi e pubblicazioni, l’intelligenza funziona al meglio quando si è felici. L’insegnante ha un compito non facile in questo senso: non deve far ridere, ma essere mediatore di benessere nell’apprendimento di cose complesse. Deve cercare di esprimere emozioni calde, le cosiddette “warm cognitions”. Approfondiamo questi temi proprio con la Professoressa Daniela Lucangeli, d
ocente di Psicologia dello sviluppo presso l'Università degli Studi di Padova, per capire cosa sono le emozioni e come influiscono sull’apprendimento



Come si possono descrivere le emozioni?
Sono stati mentali e fisiologici che agiscono e condizionano le persone. Sono associati a modificazioni psicofisiologiche per stimoli interni - battito cardiaco, salivazione, temperatura, rossore - ed esterni - pensieri, rumori o altro che generano paura o ansia e possono venire perché́ sono caratteristiche dell’indole delle persone ma possono anche essere state apprese. Quindi fanno parte della memoria, come la lingua che si parla, come gli studi che si fanno a scuola. Il dolore ad esempio nasce per avvertirci di un fattore di rischio, la sofferenza è invece la memoria del dolore sia a livello psichico che cellulare.

Ma queste emozioni come possono bloccarci?
Succede che, a un certo punto, anziché funzionare da circuito di aiuto, le emozioni vanno in cortocircuito disfunzionale. Cioè diventano elementi che non ci consentono di funzionare bene. Avviene quello che noi chiamiamo il cortocircuito emozionale: le emozioni generano una sofferenza tale per cui si entra in un rischio e ci si blocca. Così molti dei disturbi del comportamento e dell’umore nascono da emozioni che generano forte sofferenza non identificata bene dal contesto educativo.

Quali sono le emozioni peggiori?
A livello cognitivo la noia. A livello emotivo la colpa e la paura. Parto dalla più facile: la paura. Io provo paura quando il mio cervello percepisce un rischio. Se la paura è tremenda, la colpa ancor di più. Il meccanismo di colpa nasce perché chi giudica attribuisce a chi è giudicato l’unica responsabilità dell’errore. Educare attraverso l’emozione della colpa è molto rischioso perché manda sempre in cortocircuito e se io ricevo un atteggiamento in cui è sempre colpa mia, crescendo farò in modo che sia sempre colpa tua.

E quindi gli educatori cosa devono fare?
Una via di uscita ce la indica Malka Margalit dell’Accademia delle Scienze che ha trovato delle emozioni antagoniste: alla noia la gioia, l’allegria, il provare che piace fare una cosa. Alla paura si contrappone l’incoraggiamento. Cioè un atteggiamento che riconosce l’errore, ma propone una via d’uscita e ti incoraggia a uscire dall’errore e ad analizzare la situazione. Gli educatori, per aiutare i loro ragazzi, devono lavorare sulla sofferenza, perché alla memoria del dolore bisogna rispondere cambiando l’atteggiamento che lo ha determinato. Dobbiamo applicare quella che è l’alleanza educativa. Dobbiamo aiutare i nostri figli/alunni a togliere gli errori, a non giudicarli, a non determinare loro sofferenze e trovare insieme una strategia migliore per aiutarli. L’errore non è un giudizio, è una fatica che si toglie insieme a chi è lì per aiutarti: sappiamo tutti che il nemico è l’errore, non la maestra, non i genitori.

Riassumendo: se gli educatori e i genitori riuscissero a essere abbastanza allegri, gioiosi, sorridenti e incoraggianti determinerebbero una “guarigione”. Ma come si fa?
L’atteggiamento è di riconoscere nell’altro la sacralità̀ del suo mondo, così per un bambino: la sua personalità̀ va conosciuta, modificata, non sostituita. Va poi riacquistato il principio del diritto di sbagliare, che non è solo dei nostri figli, ma anche nostro. Imparare a chiedere scusa, un modo per aiutare a liberare dal senso di colpa, e a discernere nel modo giusto. Allearsi – genitori/figli e insegnati/allievi contro l’errore. Promuovere un ottimismo prospettico: noi siamo stati educati all’idea che è difficile modificare le cose che non vanno. Per modificare l’atteggiamento emotivo, non si può far a meno di reimparare le emozioni warm, calde, perché sono le chiavi di accesso all’anima, alla persona viva e profonda.