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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

domenica 22 ottobre 2017

Ma davvero commetto un reato se mio figlio preadolescente torna a casa da scuola non accompagnato? - Il parere di Alberto Pellai

Una recente sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che all’uscita della scuola media i figli possono oltrepassare il cancello per andare a casa solo se c’è un adulto responsabile che si fa carico del loro riaccompagnamento. Ovvero: hai 14 anni, magari sei alto 1 metro e settanta, forse hai già baciato una ragazza, quasi certamente da almeno tre anni possiedi uno smartphone, probabilmente hai già navigato in siti per adulti, però….

Però, sappi che per legge camminare quei 300, 400 magari 800 o 1000 metri nella tua comunità che separano il cancello della tua scuola dal tuo cancello di casa….. rappresenta un pericolo che non puoi affrontare da solo.

Probabilmente la scuola, avendo una legge che definisce che non è sua responsabilità occuparsi del ritorno a casa dei figli preadolescenti, potrà dotarsi di un alibi di fronte a quei genitori che, qualora succeda qualcosa al loro figlio, si sentiranno meglio scaricando su presidi e docenti le responsabilità. Ma siamo sicuri che di fronte ad un incidente nel percorso da casa a scuola (e viceversa) l’unica preoccupazione che dobbiamo avere è definire di chi è la colpa? Con questa legge la scuola potrà dire: colpa della famiglia. Prima di questa legge, la famiglia puntava il dito contro la scuola e diceva: tutta colpa tua.

Come adulti, invece, l’unica preoccupazione che dovremmo avere è quella di interrogarci su quali sono le competenze intorno alle quali educare i nostri figli affinchè in preadolescenza siano in grado di gestirsi in autonomia e sicurezza un percorso scuola-casa riducendo il proprio rischio di trovarsi coinvolti in pericoli prevenibili. Ciò che è prevenibile va insegnato e fatto apprendere ai nostri figli. Ciò che non è prevenibile, accadrà comunque, anche se fuori dal cancello ci sono una mamma o un papà a ritirare il proprio figlio per riaccompagnarlo a casa.

Il vero pericolo, in questo momento, è che come adulti non siamo più capaci di riflettere sui processi educativi in modo sano. Se succede qualcosa ad un minore, l’unica cosa che gli adulti sanno fare è avviare il processo della colpevolizzazione. “E’ tutta colpa della scuola” dicono i genitori e la scuola è più che autorizzata a rispondere: “No, è tutta colpa della famiglia”. In questo modo, ciò che dovrebbe essere un’alleanza educativa, si trasforma in un conflitto costante. E mentre noi ci facciamo la guerra al piano alto della relazione educativa, loro – i nostri figli e i nostri studenti – che abitano al piano basso non comprendono che cosa realmente ci si aspetta da loro. Se chiedono di tornare a scuola da soli, vengono fermati sul cancello perché la legge non glielo permette. Se rinunciano a crescere in autonomia e competenze e rimangono sempre piccoli, vengono poi raccontati come dei “bamboccioni” senza speranza, che non sanno gestire un passo fuori dalla porta di casa senza richiedere il supporto protettivo della famiglia di origine.

E’ un vero paradosso e il problema – ahimè – siamo noi. Siamo noi adulti che negli ultimi 20 anni non abbiamo saputo costruire per i nostri figli un sano equilibrio tra il loro bisogno di ricevere protezione e la necessità fisiologica di fargli esplorare il mondo, la vita e le relazioni che stanno fuori dalla porta di casa, dalla zona di sicurezza dove è sempre disponibile il conforto e la cura  offerti dalla presenza rassicurante di mamma e papà.

Siamo noi adulti che abbiamo rinunciato a tollerare l’ansia di vedere un figlio che a 11 anni può anche uscire dal cancello di casa non accompagnato per andare a scuola, in palestra, in oratorio, a giocare da un amico. Che abbiamo deciso che un preadolescente non può girare in città in bicicletta, perché è troppo pericoloso. Che abbiamo smesso di tollerare quell’ansia fisiologica che ogni adulto deve imparare ad autoregolare quando un figlio diventa grande e non può più essere presidiato da mattina a sera dall’occhio vigile dei genitori che lo proteggono e si prendono cura di lui. Così abbiamo messo nelle loro mani dei guinzagli elettronici che facciamo squillare in ogni momento per verificare dove sono, cosa fanno e sì – in fondo lasciatemelo dire, perché questo è il motivo per cui così tante volte li chiamiamo in ogni momento del giorno – anche per essere sicuri che sono vivi.

In questo modo però i nostri figli hanno imparato da noi che la loro città, la loro comunità, il loro quartiere è un posto pericolosissimo, dove si stenta a sopravvivere, dove non si può mai diventare autonomi. Dove , per assurdo, è diventato impossibile tornare a casa da scuola non scortati dai genitori.

Ma i figli non hanno bisogno della “scorta” per diventare grandi. Hanno bisogno di competenze e di crescente autonomia. Che solo noi adulti possiamo insegnargli. Però, per farlo, ci vuole tempo. Ci vuole pazienza. Ci vuole energia. E ci vuole anche una sana dose di fiducia negli altri e nella buona sorte. Non si può crescere un figlio nella paura. Lo si può invece crescere se si fonda il proprio progetto di vita sulla speranza.

Ecco, forse bisogna ripartire da qui, per essere buoni adulti oggi. Bisogna avere più speranza e meno leggi a tutela del nostro senso di colpa di essere educatori inadeguati. Bisogna avere più alleanze tra adulti e meno conflitti. Bisogna credere che i nostri figli non siano dei bamboccioni perché questo è il solo modo per non trasformarli in tali.
E sì, in fondo, bisognerebbe avere più biciclette e meno smartphone.

Auspico una sentenza della Cassazione che obblighi i genitori dei preadolescenti a mandarli a scuola tutti i giorni in bicicletta. Che definisca multe e sanzioni in caso di iperprotezione di minore. Che definisca reato il conflitto scuola-famiglia. Che eventualmente stabilisca un’età minima per legge, al di sotto della quale non si può possedere uno smartphone, come è già stato fatto per alcol e tabacco.

Insomma auspico un mondo dove ci siano gli Adulti. Quelli con la A maiuscola. Quelli veri.

(intervista tratta da : magazine.familyhealth.it)


Chi è Alberto Pellai è medico, ricercatore all’Università degli Studi di Milano, psicoterapeuta dell’età evolutiva, nonché padre di quattro figli (di cui due femmine). Si occupa di prevenzione in età evolutiva e fa molta formazione a insegnanti, genitori e professionisti del settore. Ogni anno incontra centinaia di suoi giovani lettori. È autore di molti bestseller per genitori, tradotti anche all’estero, tra cui Tutto troppo presto e I papà vengono da Marte, le mamme da Venere (scritto con Barbara Tamborini) pubblicati da De Agostini. Ha vinto numerosi premi letterari e nel 2004 il Ministero della Salute gli ha conferito la medaglia d’Argento al merito della sanità 

martedì 17 ottobre 2017

"Basta fare la guerra agli insegnanti", la bella intervista a Matteo Bussola

Nel libro "Sono puri i loro sogni" (Einaudi) Matteo Bussola, scrittore e fumettista, padre di tre figlie, riflette sulla crescente ingerenza nella vita scolastica da parte dei genitori: professori bullizzati, alunni difesi a prescindere da mamma e papà, una contrapposizione scuola famiglia che non fa il bene dei ragazzi e rallenta la crescita della loro autonomia.

Intervista estratta da : famigliacristiana.it
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Tre bambine, una alla materna, una alle elementari e una alle medie, la giusta preoccupazione per la loro formazione e la loro crescita e contemporaneamente lo stupore nel dover assistere a una contrapposizione dai toni aspri tra le famiglie e gli insegnanti, su cui cade un crescente discredito. vengono messi in discussione, attaccati, derisi, persino bullizzati: mentre si difendono a spada tratta i figli, si cerca di rimuovere ogni loro difficoltà, anche sostituendosi a essi. C'è qualcosa di malato in questo rapporto tra due istituzioni che invece dovrebbero collaborare in nome della crescita dei ragazzi. E allora Matteo Bussola, un passato da architetto, che da anni si dedica alla sua passione, disegnare fumetti, ha deciso di scrivere una lettera aperta ai genitori, un libro dal titolo "Sono puri i loro sogni" (Einaudi),per invitarli a ristabilire un rapporto con la scuola improntato al rispetto e alla delega e non alla contrapposizione con il corpo docente. 

Che significa il titolo “Sono puri i loro sogni”?
Il titolo è una citazione di una poesia di Iosif Brodskij, “Odisseo a Telemaco”. In questa poesia Ulisse, ritornato in patria dopo anni di lontananza, dice al figlio Telemaco ormai giovanotto: “Senza me dai tormenti di Edipo tu sei libero, e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.”. E’ come se Ulisse, con queste parole, liberasse il figlio dalla paura del padre-totem. Così Telemaco sarà libero, libero di essere un uomo di un altro tipo – dunque non un guerriero come il padre – e di fondare un nuovo mondo, o quantomeno di vivere la sua vita. La poesia non la conoscevo, mi è stata suggerita da Paolo Repetti di Enaudi, e mi è sembrata contenere lo stesso auspicio che evoco nel mio libro: quel “passo indietro” che, come genitori, dovremmo fare per lasciare i nostri figli liberi di vivere e sbagliare, permettendo loro di confrontarsi con l’ opportunità di crescita che ogni ostacolo contiene.
 
Come si è arrivati alla situazione attuale che vedo spesso contrapposti i genitori agli insegnanti?

E’ stato un processo lento, partito molti anni fa. Il risultato è che, oggi, siamo passati da un estremo all’ altro. Da un mondo in cui la scuola era un’ istituzione intoccabile e gli insegnanti avevano ragione a prescindere, a un mondo in cui noi genitori tentiamo di difendere i nostri figli da chiunque cerchi di metterli in crisi – compresi gli insegnanti – da qualunque difficoltà, dimenticando che entrambe sono, invece, strumenti indispensabili per diventare adulti.
 
Si arriva anche a forme di vero bullismo nei confronti degli insegnanti?

Purtroppo sì. Sono sempre più frequenti – e documentati – casi di vere e proprie aggressioni agli insegnanti, anche sul piano fisico, denunce alla scuola, critiche spietate sulle chat di WhatsApp, querele a docenti che, ormai, non riescono quasi più a svolgere il loro compito con serenità ed equilibrio, intimoriti da eserciti di genitori pronti a difendere i propri figli da qualunque rimprovero. Alla scuola, più che educazione e istruzione, sembriamo chiedere costanti garanzie di sicurezza: i bambini non devono sentirsi a disagio, non devono avere problemi con i compagni, non possono ricevere punizioni nemmeno quando le meritano, non devono essere bocciati e sui brutti voti, in caso, interverremo noi genitori protestando con i docenti. Naturalmente, ci sono anche molti genitori rispettosi e assennati, ma la tendenza che rilevo è in continuo e preoccupante aumento. In psicologia vengono chiamati “genitori spazzaneve”, ovvero quei padri e quelle madri che si ostinano a rimuovere dalla strada dei figli qualunque tipo di ostacolo. E’ forse anche per questo che stiamo crescendo generazioni di bambini incapaci di gestire qualunque forma di stress.
 
Perché i genitori ingeriscono così tanto nella vita scolastica dei figli?

Credo sia una cosa che ha a che fare con gli atavici sensi di colpa che tutti noi genitori ci portiamo dentro, e col desiderio di protezione e il troppo amore che ci porta a metterci sempre davanti ai nostri figli, per far loro da scudo. I sensi di colpa derivano dal fatto che abbiamo sempre meno tempo di stare con i nostri bambini, e questo, quasi per una forma di compensazione, ci rende guardinghi e ipercritici nei confronti di tutte quelle figure professionali che con loro, invece, il tempo ce lo passano. E’ come se volessimo rivendicare, così facendo, la nostra autorità, visto che perdiamo sempre più autorevolezza.  Il fare scudo, invece, deriva dal fatto che i bambini inascoltati di ieri, quelli che hanno frequentato una scuola in cui era sempre “colpa loro”, oggi sono diventati adulti e genitori. E non ci stanno più, adesso possono finalmente farsi sentire, e vivono quasi un processo di transfert nei confronti dei propri bambini, come se fossero una seconda opportunità di rivalsa o lo strumento per una specie di inconscia rivincita sull’ autorità scolastica. Noi siamo stati quelli che, se prendevamo un brutto voto, una volta tornati a casa ci sentivamo pure il resto. A nessuno sarebbe mai venuto il dubbio che, magari, potesse essere stato l’ insegnante a spiegare male, la responsabilità era sempre e solo nostra. Per questo oggi, se a prendere un brutto voto è nostro figlio, ricadiamo nell’ estremo opposto: siamo noi che sempre più spesso andiamo a rimproverare l’ insegnante.  E’ il mondo all’ incontrario.
 
Lei dà molto valore al passato, alla sua infanzia, quando i ragazzi crescevano più liberi anche di sbagliare e quindi diventavano più autonomi. Ma quello di idealizzare il passato non è uno sport comune a tutte le epoche?
 
Non do particolare valore al passato o all’ infanzia, ne do all’ esperienza. Ed è inevitabile per me fare confronti con quando a scuola ci andavo io, ci andavamo noi. I nostri genitori e la «vecchia scuola», con i loro metodi a volte discutibili, ottenevano comunque l’ importante risultato di favorire lo sviluppo della nostra autonomia. Mentre noi, senza rendercene conto, stiamo garantendo il contrario: la continua dipendenza dei figli da noi. E le dipendenze sono sempre un problema.


Qual è la giusta distanza che possono tenere i genitori nei confronti della scuola?
Non ne esiste una “giusta”, ogni genitore troverà la propria, l’ importante credo sia ricordare che il nostro compito non è quello di stare un passo avanti ai figli nel tentativo di proteggerli, ma un passo indietro per essere pronti a prenderli se cadranno. La vita è loro, e dobbiamo lasciare che corrano i loro rischi. Questo naturalmente non significa che non dobbiamo vigilare e partecipare al loro cammino, vuol dire solo che il limite tra presenza e ingombranza può essere a volte sottile. Noi non siamo i paladini dei nostri figli, siamo i difensori dei loro interessi, e trasmettere il rispetto per gli insegnanti – che, non dimentichiamolo, sono le figure professionali alle quali abbiano delegato la loro educazione – dovrebbe essere il primo fra questi.
 
Lei ironizza anche sull’ utilizzo di Whatspp da parte dei gruppi classe dei genitori…

Diciamo che rido per non piangere. Capiamoci: io non ho nulla contro WhatsApp e le nuove applicazioni o tecnologie, le uso tutti i giorni anche per lavoro. Il fatto è che WhatsApp, o lo stesso Facebook, sono scatole vuote, e funzionano solo con ciò che ci mettiamo dentro noi, per questo siamo responsabili dei contenuti che produciamo. Possono dunque essere meravigliose opportunità di confronto e dibattito, oppure “luoghi” in cui mettiamo in scena il peggio di noi. Nelle chat di classe purtroppo accade anche questo: oltre all’ indubbia utilità per tenersi in contatto con gli altri genitori o scambiarsi i compiti, scoppiano spesso interminabili polemiche sugli insegnanti, con toni anche violenti, critiche rivolte a chi non è presente, a discapito della serenità della classe e di quella dei nostri figli. Diciamo che, secondo me, è uno strumento col quale molti di noi devono ancora prendere bene le misure, sottoscritto compreso.

Qual è il suo rapporto con gli insegnanti delle sue tre figlie?
Ottimo. Non perché io sia un genitore particolarmente illuminato o perché le mie figlie siano particolarmente brillanti. Ma semplicemente perché ciascuno si occupa del suo compito: io faccio il padre, le mie figlie fanno le studentesse, le maestre insegnano.  A ciascuno il suo.
 
Che appello vuole rivolgere ai genitori?

Non ho appelli da consegnare, nel senso che io sono, proprio come tutti, semplice portatore della mia esperienza, e mai mi sognerei di farla diventare un paradigma per tutti i genitori. Posso solo dire che l’ intento di “Sono puri i loro sogni” non è quello di attribuire le “colpe” di questo sistema di cose solo a noi genitori, santificando gli insegnanti. Anche gli insegnanti hanno, indubbiamente, la loro parte di responsabilità. Ma io penso che noi dobbiamo occuparci della nostra, di parte. Credo che per disinnescare ogni conflitto sia sempre meglio partire da sé stessi, assumersi le proprie responsabilità e interrogarsi su quello che noi possiamo fare per primi. Ogni relazione è composta da due elementi, perciò mutando il comportamento di uno, anche di poco, tutta la relazione evolve. Il mondo si cambia in questo modo, agendo su quel che possiamo, per quel che riusciamo. Solo così potremo smetterla di puntarci il dito a vicenda e cominciare a (ri)creare una nuova alleanza genitori-insegnanti. Perché abbiamo a cuore lo stesso interesse, visto che i nostri figli e i loro studenti sono gli stessi bambini. Non dovremmo scordarlo mai. 


venerdì 6 ottobre 2017

Pre-adolescenti, questi sconosciuti. Alberto Pellai: “Aspettatevi di tutto”

Presentato il nuovo libro di Alberto Pellai e Barbara Tamborini dedicato alla pre-adolescenza. Il libro, al titolo L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente” (DeAgostini, 254 pagine, Eur 14,90) è presentato anche attraverso questa intervista rilanciata dal sito www.emiliaromagnamamma.it.



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Imprevedibili, incontrollabili. Dai pre-adolescenti, i genitori, dovrebbero aspettarsi un po’ di tutto, nel bene e nel male, contraddizioni comprese. Che chiedano, magari, di essere lasciati a 300 metri dalla scuola perché si vergognano di farsi vedere con mamma e papà e che poi, la sera, vogliano le coccole sul divano. Lo raccontano il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai e la psicopedagogista Barbara Tamborini (che nella vita sono anche una coppia e hanno quattro figli) nel libro “L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente” (DeAgostini). Pellai, in che fase si deve collocare, la pre-adolescenza?
“Negli anni della scuola media. C’è chi inizia a manifestarne i segnali prima, chi supera la fase dopo. Quello che importa, sono i primi sintomi: i figli iniziano a non funzionare più come prima, hanno un pensiero su di sé divergente da quello dei genitori, le loro richieste di autonomia aumentano, il corpo cambia, si chiudono più spesso in bagno. E creano intorno a sé una zona di mistero, non raccontandoci più tutto”.
Qual è la reazione dei genitori, in genere?
“I genitori smettono di essere, agli occhi dei figli, dei supereroi. Non hanno più la m e la p maiuscole. Vivono male, in genere, la rabbia che i figli manifestano nel tentativo di separarsi da loro: il pensiero critico, l’aggressività, le frasi a volte terribili che si sentono dire. Si aprono, per loro, nuove e innumerevoli sfide. La prima è capire che il modo che hanno avuto fino a quel momento di guardare e gestire i figli non va più bene”.
Chi fa più fatica, i grandi o i piccoli?
“I grandi ne fanno sicuramente moltissima nel tentativo di inventarsi un nuovo modo di essere mamma e papà. Ma anche i pre-adolescenti ne fanno: le emozioni sono al massimo, si può essere felicissimi e disperatissimi. La tappa evolutiva che vivono è uno scalino grande. Insomma, nemmeno per loro è facile. Non riuscendo a valutare cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, rischiano di fare enormi pasticci”.
Come entrano in gioco i limiti?
“Proprio qui. Il rischio è che i genitori liquidino la pre-adolescenza come un periodo che passerà. Così facendo, l’errore è aspettare che i figli attraversino questa fase senza un progetto di crescita. No, siccome i figli vivono sull’onda della spinta esplorativa e dell’emotività, è necessario che lo facciano in un territorio protetto da confini indicati in modo chiaro. La percezione del punto al quale possono arrivare e che non devono varcare dev’essere precisa. In questo senso, la pre-adolescenza assomiglia a quel periodo dei due/tre anni in cui i bambini allenano i figli alla resistenza, spostando sempre un po’ più in là il confine della loro pazienza, per sondare fino a dove possono spingersi. Solo che, questa volta, la sfida non si gioca più in casa”.
Ci sono molte differenze, rispetto all’adolescenza vera e propria?
“Nella pre-adolescenza si vedono le stesse sfide evolutive dell’adolescenza. Ma mentre in adolescenza il ragazzo chiude la porta, esce di casa e il genitore ‘se lo dimentica’, nella pre-adolescenza il ragazzo ha sempre un occhio puntato sull’adulto, da cui si aspetta sempre e comunque la supervisione, il controllo”.
Pericolosi, questi pre-adolescenti?
“Da tenere sott’occhio. Se chiediamo loro perché hanno fatto una cosa che non avrebbero dovuto fare, spesso rispondono che non lo sanno, il perché. Noi grandi rimaniamo spiazzati. Ma davvero, il loro cervello il più delle volte non riesce a prevedere gli esiti di certe azioni”.