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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

giovedì 29 marzo 2018

Nei testi della Via Crucis al Colosseo l'interiorità dei giovani d'oggi

Nelle quattordici stazioni i giovani autori, coordinati dal prof. Andrea Monda, immaginano di essere testimoni oculari della Passione di Cristo. 12 ragazze e 3 ragazzi, a colloquio con Gesù, lasciano emergere i loro interrogativi sul mondo in cui vivono 
Tiziana Campisi, Città del Vaticano
“Ti vedo Gesù” … coronato di spine, schiacciato sotto il peso della croce, mentre cadi per la terza volta, spogliato di tutto. È il loro incontro personale con Cristo che i giovani liceali e universitari autori delle meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, coordinati dal prof. Andrea Monda, raccontano nelle 14 stazioni. 
Come testimoni oculari, in quella Gerusalemme di oltre duemila anni fa, Valerio, Maria, Margherita, Agnese, Chiara, Francesco, Greta e gli altri descrivono nei particolari i passi di Gesù verso il Calvario, ciascuno accanto a Lui nei diversi momenti della Passione. E lo fanno con la schiettezza della loro età, in un colloquio a tu per tu con Cristo e guardando, poi, la propria interiorità, interrogandosi come parte di quell’umanità che Gesù lo ha condannato, deriso, umiliato, rifiutato.

Le 14 stazioni proiettate nei giorni nostri

I ragazzi del prof. Monda hanno pensato alle stazioni come esperienze vissute da proiettare nell’oggi. E così, Gesù che accetta la croce è colui dal quale bisogna imparare a portare a termine ogni singola cosa. “Quante volte mi sono ribellata e arrabbiata contro gli incarichi che ho ricevuto, che ho avvertito come pesanti o ingiusti. Tu non fai così – scrivono Maria Tagliaferri e Agnese Brunetti, le due autrici della seconda stazione rivolgendosi a Cristo - sei docile, e prendi sul serio quello che la vita ti offre”. Mentre Gesù che cade per la prima volta, nella terza stazione, se da una parte fa riflettere sull’umiliazione subita da Cristo, dall’altra aiuta a comprendere che è sempre possibile rialzarsi, pur se la fede vacilla o se le proprie idee crollano, “i fallimenti e le cadute non devono mai arrestare il nostro cammino”, “abbiamo sempre una scelta: arrenderci o rialzarci” con Cristo. L’episodio di Simone di Cirene è invece l’esempio di un “incontro inaspettato” dove si nasconde “l’opportunità di amare, di riconoscere il meglio nel prossimo, anche quando ci sembra diverso”.

Gesù nell'era di Internet  
Nelle meditazioni della Via Crucis di questo Venerdì Santo c’è anche la vita quotidiana dei giovani, ogni cosa che Gesù ha fatto è un insegnamento per i tempi moderni. Cristo ha avuto “la forza di sopportare il peso di una croce, di non essere creduto, di essere condannato” per le sue “parole scomode … 
Oggi non riusciamo a digerire una critica, come se ogni parola fosse pronunciata per ferirci” osserva Greta Sandri, che ha commentato l’undicesima stazione. 
Gesù inchiodato alla croce non si è fermato “neanche di fronte alla morte”, ha creduto profondamente nella sua missione e si è fidato del Padre. “Oggi, nel mondo di Internet, siamo così condizionati da tutto ciò che circola in rete che a volte dubito anche delle mie parole – confessa l’autrice della meditazione –. Ma le tue parole sono diverse, sono forti nella tua debolezza. Tu ci hai perdonato, non hai portato rancore ... Mi guardo intorno e vedo occhi fissi sullo schermo del telefono, impegnati sui social network ad inchiodare ogni errore degli altri senza possibilità di perdono. Uomini che, in preda all’ira, urlano di odiarsi per i motivi più futili”. Quale rimedio allora a tutto questo? L’accostarsi a Cristo spogliandosi di tutto.


martedì 27 marzo 2018

ALESSANDRO D'AVENIA : Letteratura e storia ci mostrano che l’esistenza è posta sotto il segno dell’unicità della persona

Alessandro D'Avenia
Il Professor Alesandro D'Avenia ogni lunedì su "Corriere della Sera" si occupa "della cruenta e quotidiana battaglia tra attese e pretese degli adulti e corpi e anime di apparentemente irraggiungibili adolescenti". E lunedi 26 marzo il titolo dell'intervento era "Non farò mai l'insegnante": è tutto da leggere, ma noi abbiamo estratto la parte che riguarda l'unicità e preziosità della persona


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L'intervento completo  lo puoi leggere qui

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Guardate la vita contenuta nella vostra mano: le linee sul palmo e le impronte digitali con le quali il vostro cellulare vi riconosce, sono le stesse che avevate a neanche un mese dal vostro concepimento. Fu osservando al microscopio questi solchi, che a metà del secolo scorso Jerome Lejeune scoprì la causa genetica della sindrome di Down. Lo scienziato amava dire che già nello zigote, la cellula frutto dell’unione di spermatozoo e ovulo, era contenuta la profezia di una vita intera: il genoma, il corredo cromosomico per metà materno e per metà paterno, equivale a un libro inedito di oltre 3 miliardi di lettere scritto nel nucleo di una cellula di 0,1 millimetri. Un messaggio, unico e irripetibile, che si sviluppa e specifica gradualmente in un essere altrettanto unico e irripetibile, la cui vita cresce solo se ne viene curata e rispettata l’originalità. L’alternativa è infatti la morte fisica o spirituale, come mostrano le parole scelte da Vasilij Grossman all’inizio del suo capolavoro, «Vita e destino», per descrivere l’uniformità dei campi di concentramento: «La ferocia disumana dell’enorme lager si esprimeva nella regolarità perfetta. Le izbe russe sono milioni, ma non possono essercene — e non ce ne sono — due perfettamente identiche. Ciò che è vivo è irripetibile. Due uomini, due cespugli di rose selvatiche, non possono essere uguali. E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne».
Jerome Lejeune

In modo diverso scienza, letteratura e storia ci mostrano che l’esistenza è posta sotto il segno dell’unicità e qualsiasi struttura umana ignori o annulli tale segno spegne la vita: per questo conformismo e totalitarismo sono gemelli, il primo costringe a fare ciò che gli altri fanno, il secondo ciò che gli altri vogliono. Sono disumani tutti i sistemi che ostacolano la pluralità necessaria per vivere la propria libera e autentica dimensione sociale, in cui ciascuno dà agli altri quello che è e riceve dagli altri quello che non è, come accade in un’orchestra, in una squadra, perché il timbro di ogni singolo strumento o il ruolo occupato in campo sono necessari all’armonia totale. Il nostro sistema scolastico tende a ignorare e persino ostacolare l’unicità, per questo spesso produce insegnanti e alunni frustrati. Che cosa avvelena un mestiere così bello e la naturale predisposizione dell’uomo alla conoscenza? Il fatto che docente e studente vengono inseriti in una catena di montaggio da cui escono sfiniti più che finiti, perché trattati da oggetti anonimi e non da soggetti di possibilità irripetibili.

 
Vasilij Grossman
Basta correggere i compiti degli studenti per scorgere una potenziale orchestra o squadra: la loro grafia in cerca di se stessa, ora illeggibile, ora elegante, è il segno evidente di un rapporto unico con la realtà. Stanno elaborando la loro presa di posizione di fronte al mondo, possibile solo grazie alla scoperta, conoscenza, accettazione della propria unicità. Per essere originali bisogna essere originari, questo vuol dire che nel periodo di formazione è fondamentale che gli educatori per primi siano consapevoli della propria unicità. Noi insegnanti siamo direttori d’orchestra o allenatori, abbiamo a che fare con vite irripetibili a cui affidare la sinfonia o la partita. Eppure nei nostri registri mancano spazi per descrivere i talenti di un ragazzo. I consigli di classe si riducono alla condivisione di voti e fatti spiacevoli di condotta. Se un ragazzo assistesse al momento in cui parliamo di lui durante un consiglio, che cosa scoprirebbe di sé? Si sentirebbe riconosciuto, tra punti forti e deboli, come portatore unico di qualcosa di nuovo? I collegi docenti diventano spesso dibattiti burocratici più che educativi. Negli scorsi anni abbiamo dovuto seguire corsi sulla sicurezza, e mi sembra opportuno, ma io vorrei essere obbligato anche a formarmi su come si scoprono i talenti dei ragazzi, sul mondo del lavoro di oggi e di domani, per orientarli in un presente che sta subendo una trasformazione senza precedenti. Quando sento dire, da chi in classe non entra, che l’uso del cellulare in aula è un toccasana per l’apprendimento ho la conferma dell’assenza di un progetto adeguato alle esigenze reali degli studenti, a cui invece servirebbe imparare come funzionano i linguaggi di programmazione che permettono alle app di funzionare, agli algoritmi di profilarci, proprio grazie a quel cellulare. Un sistema che non valorizza i docenti si merita una scuola che spegne la vita e che, invece di affrontare il mondo, lo ignora o vi si adegua.

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sabato 10 marzo 2018

Dal 14 marzo una bella mostra dedicata a Marcellino

Nei prossimi giorni inaugura a Bologna, all'interno delle scuole del Pellicano, una bella mostra dedicata a Marcellino.

“Quando è che hai provato una grande gioia?”

Questa è una delle domande con cui si sono confrontati, con pensieri e disegni, i bambini che hanno collaborato alla realizzazione delle mostra itinerante "Con gli occhi di Marcellino - Le domande grandi dei bambini".

“Alcune classi della nostra scuola l’anno scorso hanno lavorato a partire dalla visione del film “Marcellino, pane e vino” racconta Luisa Leoni, neuropsichiatra infantile e responsabile educativo delle scuole della Cooperativa Sociale Il Pellicano, che ha curato insieme ad alcuni amici la mostra. “Nei bambini si sono aperte delle domande bellissime, grandi, diverse chiaramente a seconda dell’età e dei temperamenti, ma che indicano come i loro occhi guardino la realtà e vedano l’infinito, pronti a riconoscere e ad accogliere il mistero. Ed è incredibile leggere le risposte che hanno provato a dare, e stupirsi degli occhi con cui Marcellino, e oggi i nostri bambini, guardano il mondo”.

“Il mio desiderio più grande è essere felice.” (Achille)

“Cambia la mia giornata quando un amico mi fa accorgere che c’è qualcosa di bello da osservare e da scoprire.” (Kevin)

Queste domande hanno colpito evidentemente anche l’Arcivescovo di Bologna, Mons. Matteo Zuppi, sempre molto attento al tema dell’educazione dei bambini e che inaugurerà la mostra intervenendo, insieme ai curatori, all’ incontro di presentazione che avrà luogo mercoledì 14 marzo alle ore 21.00 presso la palestra della scuola primaria Il Pellicano in via Sante Vincenzi 36/4 a Bologna.
Dal 14 al 26 marzo, poi, l’esposizione, realizzata per l'edizione 2017 del Meeting di Rimini, sarà ospitata nei locali della scuola primaria Il Pellicano, in via Sante Vincenzi 36/4. e sarà possibile visitarla:

da lunedì a venerdì: 12.00 - 14.30 e 16.00 -17.30
sabato: 10.00 - 12.30 e 15.30 - 18.30
(in altri, orari, previa prenotazione)

Info e prenotazioni:
tel. 051/344180
mail: servizi@coopilpellicano.org

giovedì 1 marzo 2018

Il potere dell’educazione affettiva: la gentilezza come scelta


Oggi torniamo a  parlare del film "Wonder" con un articolo pubblicato nel blog AlleyOop de "Il Sole 24 ore"


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"Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile”.

E’ una frase del Dr Wayne W. Dyer, uno psicoterapeuta americano, che continua a ritornarmi in mente, da quando l’ho sentita recentemente nel film “Wonder”. 
Scegli di essere gentile. Ne è convinto anche August, il bambino protagonista, affetto da una grave patologia congenita, costretto a subire decine di operazioni e a convivere con un aspetto fisico considerato “non normale”. La famiglia vive con ansia l’inserimento del proprio figlio al primo anno di scuola media, col conseguente dramma, che coinvolge tutti i componenti, della difficoltà di trovare inclusione e accoglienza da parte del gruppo dei coetanei.

Ma cosa è la gentilezza? E a cosa serve? Secondo il dizionario Treccani la gentilezza  è un insieme di atti, espressioni, gesti di amabilità, garbo e cortesia ed è l’opposto dell’insolenza, della prepotenza, dell’impertinenza. Chi è gentile, insomma, mette in atto una serie di comportamenti, nei confronti degli altri che hanno alla base dei sentimenti importanti, come l’altruismo, l’onestà, la generosità e l’empatia. Si parla, oggi, moltissimo di bullismo, di cyber-bullismo e di violenza verbale, oltre che fisica, messi in atto da ragazzini anche di scuola primaria (quindi davvero molto piccoli) nei confronti di coetanei definiti “deboli” o “diversi”, che diventano vittime, spesso silenziose di questo meccanismo pericoloso. Il web rappresenta un mezzo affascinante, e allo stesso tempo subdolo, perché l’insulto, la diffamazione, la calunnia, la “presa in giro” assumono un aspetto più ampio e difficile da arginare.

Certamente le scuole si stanno attrezzando per conoscere, innanzitutto, questi nuovi fenomeni sociali e per porvi rimedio o, quanto meno, per non trascurare quei segni anticipatori, quelle avvisaglie che possono nascere silenziose tra i banchi e in rete. Guardando il film Wonder, ho capito che abbiamo un’altra possibilità, che può sembrare scontata, ma non lo è affatto: il potere della gentilezza.

Ecco, tra le varie possibilità di prevenzione di questi fenomeni, esiste proprio l’educazione alla gentilezza, a quegli atti di cortesia incondizionati, che rendono i rapporti autentici, alla pari, inclusivi. Si può e si deve credere nel potere della gentilezza come arma contro l’ostilità, la discriminazione, l’esclusione, partendo dalla prima infanzia. Non solo le scuole, ma anche le famiglie devono assumersi il dovere di curare in modo particolare l’aspetto affettivo dei bambini, stimolando attraverso l’esempio e attraverso specifiche pratiche educative quotidiane, la propensione all’ascolto, all’aiuto reciproco, alla comprensione dei sentimenti, all’accoglienza delle differenze.

In classe capita ogni giorno l’occasione di educare alla gentilezza: è un lavoro sotterraneo, spesso invisibile, che va di pari passo con l’aspetto didattico. Potenziare l’empatia e avviare alla gentilezza lo si può fare sempre; ad esempio, insegnando ai bambini a lavorare in gruppo, rispettando le idee di ciascuno, oppure attraverso dei giochi guidati in cui ci sia anche la possibilità di prendersi per mano, di fare una carezza al compagno, di abbracciarlo. Ogni giorno bisogna porre un’attenzione speciale alle parole che usiamo con i bambini, al modo in cui noi ci rapportiamo a loro perché dalla capacità di empatia dell’insegnante derivano atti di gentilezza contagiosi, che coinvolgono l’intera classe.

I piccoli alunni cominciano il loro personale percorso di crescita, sia fisica, che morale, emotiva e psicologica. Ogni tassello che poniamo sul cammino, diventa importante perché confluisce nella memoria affettiva, che porterà ciascuno a compiere delle scelte, a prendere delle decisioni, a relazionarsi. Allora, davvero conterà per loro “avere ragione”? Oppure sarà sempre più importante “essere gentili”? La risposta dipende da noi adulti, da come decidiamo di educarli, dall’esempio che riusciamo a dare loro, dal modo in cui siamo capaci di provare empatia, di vivere le differenze come un dono. Proviamoci. Proprio come il piccolo August. Nonostante la sua sofferenza, ha sempre scelto di mettere in atto la gentilezza che, più di ogni altra cosa, gli è servita per creare il suo posto nel mondo, oltrepassando gli sguardi che lo fissavano, le parole che lo ferivano. La forza della gentilezza, che partiva innanzitutto dalla sua famiglia, gli ha permesso di sviluppare la resilienza e di superare le avversità, riuscendo ad essere finalmente felice.