Rilanciamo qui un articolo pubblicato da Saverio Sgroi sul suo blog "La Sfida Educativa" (qui leggi originale completo: www.lasfidaeducativa.it)
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Che cosa vuol dire “generative occasioni di crescita”? Che cosa dovrebbero essere in grado di generare queste occasioni?
Possiamo trovare la risposta a queste domande a partire proprio dall’etimologia del verbo generare, dal latino genus, che significa nascita, stirpe, discendenza. Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, nel loro libro Generativi di tutto il mondo, unitevi!, scrivono: “Generare
fa parte di un insieme di termini quali ‘generosità’, ‘genialità’,
‘genitore’ che condividono la stessa radice genus (genere), la quale
rimanda a significati quali partorire, germogliare, fabbricare. In
sostanza, mettere al mondo. O, più estensivamente, dare vita, far
essere.”
Se generare ha questo significato, un’occasione generativa è allora
un’occasione capace di far nascere nuove risorse, di dare vita nel senso
più ampio del termine, ma soprattutto di dare un tipo di vita che porta
in sé quella pienezza di senso capace di realizzare l’umano che c’è in
ogni persona. E qual è quella realtà che rappresenta per l’uomo la più
grande occasione di generatività, se non la relazione? È nella relazione
infatti che l’uomo si realizza, incontrando e conoscendo pienamente se
stesso, attraverso la conoscenza e l’incontro con l’altro: “Io divento io dicendo tu”, scrive il filosofo Martin Buber.
Pensiamo a quelle relazioni che per noi sono particolarmente
significative, come l’amicizia o l’amore; non costituiscono forse le
esperienze principali attraverso le quali impariamo ad amare? Oppure
pensiamo, in negativo, alla solitudine, che rappresenta l’antitesi della
relazione e che probabilmente è la realtà peggiore che una persona
possa sperimentare. Il pedagogista Antonio Bellingreri, per spiegare
l’importanza dell’empatia, quella qualità che permette di comprendere e
sentire il mondo interiore altrui come se fosse il nostro, usa delle
parole molto belle che ci aiutano a capire quanto la relazione sia
essenziale per una persona: “Se nessuno conoscesse i nostri pensieri e comprendesse il nostro sentire, saremmo consegnati ad una solitudine insuperabile”.
La relazione ci rende pienamente umani, fa fiorire l’umano che c’è in ogni persona. È l’origine stessa della parola che ce lo rivela: relazione deriva dal latino relatus, participio passato del verbo referre,
che significa portare indietro, riportare. Essa ci restituisce,
attraverso l’altro, qualcosa di noi che solo l’altro può darci e che
costituisce un elemento fondamentale per la costruzione della nostra
identità. La relazione, tuttavia, ci umanizza solo se è fondata
sull’amore, l’unica realtà capace di fare di noi un dono totale e
gratuito a un’altra persona, condizione imprescindibile perché una
relazione sia generativa.
Quali sono i risvolti di queste considerazioni sul piano dell’educazione, ed in particolare dell’educazione all’amore?
Riprendiamo il titolo dell’incontro ai genitori, che è pure il titolo di
queste righe, ed entriamo nel merito di alcune parole che lo
compongono: volersi bene, volere il bene. Che cosa significano concretamente queste frasi?
Qualche anno fa chiesi ad un gruppo di ragazzi di dirmi ciò che li
aiutava nel rapporto che avevano con i loro genitori; la maggior parte
delle risposte furono abbastanza ovvie e scontate: mi trattano da
grande, mi danno fiducia, posso parlare con loro di qualunque cosa,
credono in me, non mi giudicano, e via dicendo. Solo una ragazza diede
una risposta fuori dagli schemi: volersi bene ed essere affettuosi tra
loro.
Effettivamente, se ci pensiamo, noi impariamo ad amare nella misura
in cui vediamo l’amore nelle persone care che ci stanno accanto e
soprattutto se lo sperimentiamo a partire da qualcuno che ci ama
incondizionatamente, solitamente i genitori. Sono i genitori –
inizialmente la madre, poi il padre – che sono in grado di trasmetterci
la certezza che la vita è bella e merita di essere vissuta fino in
fondo. È l’abbraccio accogliente dei genitori che ci fa sperimentare
l’unicità di essere chiamati per nome ad avere un ruolo attivo
nei confronti della realtà. E se “il volersi bene” dei nostri genitori, e
quindi la qualità della loro relazione reciproca, è un elemento
fondamentale perché noi possiamo comprendere l’essenza dell’amore e
integrarla nella nostra vita, è altrettanto vero che la nostra capacità
di saper amare è condizionata inevitabilmente dalla relazione che i
genitori intrattengono con noi. Quest’ultimo aspetto è di particolare
importanza oggi, di fronte allo scoraggiamento che a volte prende i
genitori quando la sorgente primaria dalla quale scaturisce l’educazione
dei figli – la relazione tra di essi, il loro volersi bene – sia stata
inquinata dalla ferita relazionale di quell’amore che ha permesso loro
di mettere al mondo i figli. Sono sempre di più le famiglie toccate
dalla ferita del divorzio o della separazione, ferita che lascia un
segno non solo nella coppia ma anche nei figli, che subiscono la
separazione dei genitori quasi sempre senza poter fare nulla per
impedirla. Ma, pur nella sofferenza che un’esperienza del genere
comporta, una relazione coniugale ferita o in alcuni casi addirittura
morta non annulla mai la funzione genitoriale, che rimane per sempre:
nessun essere umano sarà necessariamente padre o madre, marito o moglie,
fratello o sorella, ma tutti, questo sì, siamo figli di qualcuno che ci
ha messo al mondo, di qualcuno che ci ha generati, di qualcuno a
partire dal quale prende forma, sempre, la costruzione del senso della
nostra vita.
Queste riflessioni valgono particolarmente per l’educazione
dell’affettività e della sessualità, che spetta innanzitutto ai
genitori; perché non si tratta di dare “istruzioni per l’uso” sul come
fare l’amore, ma di educare all’amore, di aiutare i figli a cogliere il
nesso che esiste tra l’amore e la sessualità all’interno di una cornice
di senso che solo chi li ha generati può illuminare pienamente. È
evidente che, se i genitori sono separati, i figli faranno più fatica a
comprendere fino in fondo questa cornice di senso; sarebbe ingenuo e non
realistico ignorarlo. Ma anche nei casi più difficili e segnati dalla
sofferenza il ruolo dei genitori rimane insostituibile, perchè essi sono
per i figli la sorgente dalla quale è scaturito l’amore che li ha
generati; l’esperienza comune dimostra quasi sempre come, anche se la
sorgente fosse ormai asciutta o inquinata da tempo, ignorarla o peggio
rifiutarla lascerebbe dentro di sé un vuoto più grande di quello che si
sperimenterebbe cercando comunque di trovare un senso a questa
situazione problematica e dolorosa.
Volersi bene, quindi, è il presupposto di ogni intervento educativo
da parte dei genitori; solo dopo viene il voler bene. Ciò significa che
un figlio deve vedere che l’amore tra i genitori viene prima dell’amore
che essi hanno per lui; deve comprendere che i genitori prima di essere
tali sono coppia e che l’amore per lui è comunque il risultato della
sovrabbondanza dell’amore che c’è stato e che c’è tra di essi; la
generatività si trasmette tanto più facilmente quanto più chi genera
vive in prima persona la dimensione del dono.
Ma “volersi bene” è una frase che si può anche interpretare in senso
riflessivo, cioè come il “voler bene a sé stessi”, che è la condizione
fondamentale perché si sviluppi la capacità di voler bene agli altri:
nessuno potrà amare un’altra persona se prima non ama se stesso, se non
raggiunge quella pienezza e quell’equilibrio affettivo nei confronti di
se stesso che gli permetterà di vivere relazioni sane e non segnate dal
tarlo della dipendenza dall’altro, della ricerca del consenso
dell’altro, del bisogno patologico dell’amore dell’altro.
Questo secondo significato delle parole “volersi bene” è altrettanto
gravido di conseguenze educative: quanto è importante aiutare i figli a
volersi bene, a credere in se stessi, ad acquisire quella sicurezza
necessaria per affrontare non solo le relazioni con gli altri ma la vita
in generale, il rapporto con la realtà!
Soltanto dopo il “volersi bene” possiamo spendere due parole sulla
parte finale del titolo, quel “volere il bene” che rivela tutta la
nostra capacità di amare un’altra persona.
Se è vero, come abbiamo visto, che impariamo ad amare solo se qualcuno
ci ha amati per primi, ci rendiamo conto di quanto “volere il bene” dei
figli influisca sulla loro personalità. Tanto ci sarebbe da dire sul
nostro modo di trattare i ragazzi: la loro reazione è spesso
condizionata dallo sguardo che poniamo su di loro, da come manifestiamo
loro fiducia, in definitiva dal nostro modo di amarli. San Tommaso
definisce l’amore una passione, nel senso che si riceve
passivamente: noi siamo capaci di amare solo come risposta ad una prima
presenza amorosa dell’altro in noi.
Volere il bene dei figli si può manifestare in mille modi, ma la cosa
più importante rimane l’impegno messo nell’investire su quelle due
dimensioni costitutive della relazione – e l’educazione è sempre una
relazione – che sono lo spazio ed il tempo che condividiamo con loro. È
difficile pensare di riuscire nel nostro compito educativo se non
valorizziamo la dimensione dello spazio, che vuol dire stare con i
ragazzi, condividere luoghi fisici ma anche personali – il nostro cuore,
la nostra intimità – con loro. E ancora di più, non possiamo educare
senza fare affidamento sulla dimensione del tempo: un bravo educatore,
come un buon contadino con le sue piante, sa che le persone hanno
bisogno di tempo e di cura per maturare; sa attendere che il seme
attecchisca e che dia frutto a tempo debito, rispettando i tempi e la
libertà di coloro che gli vengono affidati.
Nell’educazione, quindi, dovremmo costantemente rivalutare lo spazio
ed il tempo. È vero che queste due dimensioni sono il palcoscenico dove
vanno in scena, inevitabilmente, i nostri limiti ma è altrettanto vero
che spazio e tempo sono anche la misura dell’amore: è solo donando il
nostro spazio ed il nostro tempo che saremo capaci di amare i ragazzi
che la vita ci mette accanto perché li accompagniamo lungo la strada del
diventare adulti.
Saverio Sgroi, educatore e giornalista pubblicista. Si occupa da oltre 20 anni di
attività educative con gli adolescenti, che incontra frequentemente
nelle scuole per parlare di educazione dell’affettività e di
orientamento universitario.
Svolge conferenze e incontri per educatori (genitori e docenti)
sul mondo degli adolescenti, sull’affettività, sulla comunicazione
genitori-figli e sui social network. Dal 2008 ha fondato e dirige il
portale per teenagers www.cogitoetvolo.it