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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

mercoledì 21 febbraio 2018

THERESE HARGOT, sessuologa: «I nostri ragazzi assediati dalla pornografia»


Già in passato rilanciammo un intervento di Therese Hargot, giovane sessuologa belga (nata nel 1984) con una laurea in filosofia e un master in scienze sociali alla Sorbona di Parigi. Sposata e con tre figli, Thérèse ama sfidare la vulgata corrente: è fermamente convinta che la rivoluzione sessuale abbia apportato una liberazione senza libertà sicché, in luogo di renderci più liberi, ci ha fatto transitare da un'obbedienza ad un'altra. E in questo panorama, vede gli adolescenti come i più colpiti da questa pseudo-rivoluzione. Oggi riproponiamo una sua intervista pubblicata dal quotidiano "Avvenire" nel giugno scorso e che tratta, in modo molto diretto, i problemi legati all'educazione sessuale e affettività degli adolescenti.



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La pornografia a portata di mano persuade i più giovani che il corpo sia solo un oggetto di consumo. Le tesi di Thérèse Hargot nel libro controcorrente "Una gioventù sessualmente liberata". 
Ho scritto questo libro per condividere ciò che ascolto e vedo, soprattutto perché la maggioranza degli adulti non sono consapevoli della posta in gioco nell’adolescenza». La belga Thérèse Hargot, classe 1984, si definisce al contempo filosofa, sessuologa e blogger. Dopo il successo incontrato in Francia, è uscito anche in Italia – dov’è è stato un caso editoriale – il saggio "Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)" (Sonzogno, 176 pagine, euro 16,50), molto critico verso «i nuovi tabù» e i paradossi esacerbati, secondo l’autrice, dall’irruzione del liberismo commerciale e del materialismo nelle relazioni affettive e sessuali. I rapidi capitoli puntano con un linguaggio diretto a un «risveglio delle coscienze» affrontando temi come il dilagare della pornografia, la contraccezione, i nuovi stereotipi sessuali... Nel testo risuona l’esperienza dell’autrice come animatrice di forum nelle scuole e libera professionista nell’ascolto di giovani e adulti.



Per lei i giovani oggi sono «ingozzati di immagini sessuali» e insidiati da una pornografia sempre più diffusa. Un contesto senza precedenti?
«Con Internet e gli altri nuovi mezzi di comunicazione osserviamo un’esplosione dell’industria pornografica. La pornografia è divenuta accessibile in ogni momento della giornata e a fasce di età anche molto giovani. Ma più in generale, anche al di là dei siti Internet, si tratta pure di una tendenza che condiziona la pubblicità e la televisione. Sui giovani, compresi purtroppo ormai anche i bambini, ciò esercita un’influenza considerevole, imponendo una visione della sessualità come atto di consumo. Il sesso diventa qualcosa che si consuma e l’altro un semplice oggetto di piacere. Si diffonde così una cultura della strumentalizzazione del corpo dell’altro e come oggetto separato rispetto ai sentimenti della persona. L’individuo viene spezzettato attraverso una visione erronea della persona umana, che è invece un unicum fra corpo ed emozioni. Il pericolo crescente è quello del diffondersi di comportamenti che non rispettano più l’interiorità dell’altro e i suoi sentimenti. Ciò è tanto più vero se si pensa che i giovani percepiscono sempre più questa concezione come un insieme di norme alle quali conformarsi. L’industria pornografica diventa un vettore di nuove norme. È un problema della società, più che individuale, e richiederebbe interventi ben più decisi dei poteri pubblici».



L’educazione affettiva dei giovani diventa un’impresa sempre più difficile?
«Da una cinquantina d’anni si è fatta molta informazione, ma informare non equivale a educare. Educare significa fare in modo che i giovani possano divenire uomini e donne liberi, dunque capaci di scegliere ciò che corrisponde al loro bene. Nel contesto odierno, occorre in effetti moltiplicare gli sforzi per aiutare i giovani a entrare in relazione con gli altri sul piano personale. In molti Paesi si parla di sessualità nelle scuole solo dal punto di vista dell’igiene, in particolare a proposito dell’uso del preservativo e dell’accesso alla pillola contraccettiva. Ma per gli adolescenti le grandi questioni divoranti sono altre: cosa significa divenire un uomo e una donna? Qual è il senso della vita? Cosa significa amare? Ed essere liberi e consenzienti? Su tutte queste domande l’istituzione scolastica e spesso anche i genitori non trovano il tempo o il modo per fare vera educazione. Ma è questa la posta in gioco fondamentale. Per lo sviluppo dei giovani come persone l’informazione è importante, certo, ma resta comunque secondaria rispetto all’educazione».



Lei parla delle nuove dipendenze e delle ansie connesse alla pornografia. Vede un disagio psichico che rischia di accrescersi?
«Viviamo in una società che sollecita in modo abnorme la pulsione sessuale, perché permette di vendere attraverso la pubblicità o altri strumenti, come i nuovi siti d’incontri specificamente pensati per trovare partner in discoteca. Ciò spinge ad esempio a un uso crescente della sessualità come semplice mezzo per sfogare lo stress, provocando malesseri di vario tipo. Si consuma sesso in modo compulsivo come si prende un sandwich al fast food. Ciò rischia in modo crescente di trasferirsi anche nella vita delle coppie, comprese quelle sposate».



Queste tendenze consumistiche hanno riflessi su contraccezione e aborto?
«In Paesi come la Francia si è diffusa la credenza secondo cui la pillola contraccettiva risolverebbe ogni problema legato alla sfera della sessualità, mentre questa dovrebbe implicare sempre la consapevolezza delle proprie responsabilità. Oggi ci si rende sempre più conto che i tentativi di banalizzazione della sessualità attraverso la contraccezione e l’aborto si sono trasformati in un fallimento, basti pensare a certe epidemie di malattie trasmissibili sessualmente. Al contrario, occorrerebbe responsabilizzare di più spiegando soprattutto ai giovani che la sessualità non è un gioco. Ma a livello delle politiche pubbliche troppo spesso le scelte compiute sono state dettate da concezioni ideologiche di stampo libertario. E proprio per questo non si è riusciti a rispondere ai veri problemi».



Vede un nesso di questa cultura anche con la maternità surrogata?
«Esiste un continuum che dalle politiche di diffusione della contraccezione ha condotto fino alla maternità surrogata. In fondo, il messaggio resta sempre lo stesso: il bambino solo se lo voglio, quando lo voglio, con chi voglio. La surrogata porta alle estreme conseguenze un simile approccio, permettendo di annientare ogni barriera possibile alla realizzazione di questo progetto. Si tratta della stessa ideologia che dissocia sessualità e procreazione. Questo pone interrogativi cruciali alle femministe libertarie, rivelando spesso le contraddizioni soggiacenti alla loro concezione. Trattare la maternità surrogata come una questione separata impedisce in realtà di cogliere la continuità con le politiche sanitarie che l’hanno preceduta».

venerdì 16 febbraio 2018

"Da studente dico ai genitori: non fate i sindacalisti dei vostri figli" La lettera di uno studente a tutti i genitori

Giovedì 15 febbraio sul "Corriere della Sera" è stata pubblicata una lettera-appello di uno studente diciottenne e indirizzata a tutti i genitori. Ci è sembrata così significativa dal punto di vista dell'educazione, che la ripubblichiamo qui.

La versione originale è possibile leggerla qui

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di Enrico Galletti
studente 18 anni


Il rimprovero, il brutto voto, la parola di troppo, il regolamento di conti a suon di botte. Il timore di assestare quel quattro a caratteri cubitali perché con ogni probabilità il professore dovrà vedersela con i genitori. Tra la malavita e questo lato della scuola, il confine è labile. Tanto labile da chiedersi se i vecchi tempi - quelli del dietro la lavagna, del «è così e basta», del sola andata per la presidenza - siano del tutto finiti. Di anni ne ho diciotto io, mica sessanta. Non sono docente e nemmeno genitore. Sono studente, con tutto quello che comporta. Vedo i tele-giornali: il padre che va dal vicepreside e lo manda all’ospedale perché ha rimproverato suo figlio, la madre che dice al professore che quel voto non era un quattro, ma che suo figlio meritava sei. Ho visto una giovane madre andare dal professore di latino e minacciarlo di fare ricorso al Tar per una versione andata male. La stessa versione di cui io stesso, a quindici anni, avevo azzeccato forse una riga.

Viene da chiedersi chi fa la scuola. Se noi studenti, con il nostro entusiasmo, se i professori, con la loro competenza, oppure i genitori, con quelle loro regole che rischiano di diventare intimidatorie. Il problema, però, è che quel-l’entusiasmo che ci si aspetta dalla scuola - deputata a formare nuovi cittadini - rischia di essere stroncato dall’atteggiamento dei nuovi genitori. I genitori del «lei non si deve permettere», quelli del «mio figlio me la racconta giusta e la colpa è sua». La verità è una: è che noi millennials siamo dei bravi ragazzi. Lo siamo per davvero, ma dobbiamo avere più coraggio.

Dobbiamo parlare chiaro ai nostri genitori e dobbiamo dar loro un consiglio: «Genitori, metteteci in discussione». Fa male, è difficile, è un po’ masochista, ma è necessario. Parliamo ai nostri genitori e chiediamo loro di guardarci con occhi diversi, di mettere in discussione la nostra verità prima di pestare un professore, anche quando i fatti sembreranno così cristallini da non destare il minimo dubbio. Chiediamo un passo indietro, un po’ di malizia ad evitare conclusioni affrettate. Chiediamo di verificare le parole di noi figli: fonti dirette che possono essere distorte. Chiediamo di rispettare i ruoli. Genitori, dateci credito ma trattateci da figli. E se necessario, considerateci figli «bugiardi», perché essere figli vuol dire anche questo: distorcere la realtà, all’occorrenza.
La verità è che io ho paura, paura di diventare un genitore sindacalista, paura che mio figlio, un domani, si adagi sulla fiducia che riporrò in lui, che non sia disposto a farmi capire che si sbaglia a difendere a spada tratta i figli. Ho paura di diventare io stesso il genitore che aspetta al varco il professore. Per questo dirò ai miei genitori di mettermi in discussione ogni giorno, con la stessa affidabilità di sempre ma con una fiducia un po’ più filtrata. Che ho diciott’anni io, mica più dodici. 
E un domani padre lo sarò anch’io.

martedì 13 febbraio 2018

ALESSANDRO D'AVENIA: "Che cos’è amare se non donare il proprio tempo a un altro?"


La rubrica di Alessandro D'Avenia su "Corriere della Sera"
Da gennaio, ogni lunedì sul "Corriere della Sera" il prof. Alessandro D'Avenia, che seguiamo sempre con grande interesse, pubblica un intervento all'interno della sua rubrica "Letti da Rifare". L'articolo di lunedi 12 febbraio ci pare davvero molto interessante perchè muove riflessioni mportanti sul tema "essere genitori" ed in particolare, padri.
Ne riproponiamo qui una parte. Chi volesse leggere l'articolo completo, lo può leggere qui




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Non è un caso che alcuni istanti siano scolpiti nella nostra memoria di bambini e adolescenti. La mia memoria e quindi la mia identità è maturata nei momenti in cui qualcuno mi ha consegnato, a prezzo del suo sudore, dolore, amore, l’esperienza imperdibile del mondo perché io la custodissi e l’ampliassi. L’uomo che sono e voglio essere lo devo al bambino-adolescente che ha ricevuto un testimone da passare, da uomini e donne che, pur con le loro debolezze, non badavano solo a se stessi, ma erano occupati a generarmi alla vita interiore, dove si annida il nome proprio che ciascuno ha e dove si origina l’energica consapevolezza di un inedito da fare. Solo le relazioni vere riescono in questa impresa di aiutarci a crescere, ma per essere generative devono prendersi tutto il tempo che serve: che cos’è, alla fine, amare se non donare il proprio tempo a un altro? Me lo confermano tante lettere come questa: «Vengo da una famiglia che non subisce le conseguenze della crisi e ho due genitori, separati, con lavori che impegnano quasi la totalità del loro tempo. Ho tantissimi oggetti: telefono ultimo modello, motorino, vestiti firmati, tutto quello che voglio me lo comprano. So che starai pensando che sono un ingrato, ma non mi basta tutto quello che ho. Molte volte capita che i miei compagni di classe, all’uscita di scuola, vadano in ufficio dal padre per prendere un panino per pranzo al volo o che le ragazze passino la domenica con le madri per centri commerciali a fare shopping. Mi chiedo a cosa serva lavorare tanto se poi alla fine non ti rimane tempo per queste cose. Preferirei usare la metro o avere un cellulare scassato ma poter andare ogni tanto a prendere un gelato con mio padre e parlare di politica, calcio, scuola e lavoro. Oppure mi piacerebbe che mia madre ogni tanto venisse la domenica alla partita di calcio proprio come fanno tutte le altre mamme. Loro però sono talmente presi dagli affari che non si accorgono che io viva la situazione come un disagio. Non c’è niente di peggio che affrontare l’adolescenza senza la presenza dei genitori».
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La crisi dell’educazione oggi ha un’unica matrice: la difficoltà o la incapacità di generare simbolicamente le vite, cioè di narrare la storia di cui si è parte e di affidare una qualche eredità spirituale e morale da custodire e sviluppare, dopo averla coerentemente difesa a costo della propria vita. Nella lingua ebraica la parola per indicare la storia (Toledot) significa «generazioni» perché è una storia di nomi e di compiti che Dio consegna agli uomini, e loro ai figli: non una storia di eventi ma di figli. La crisi della trasmissione, sia di identità sia di eredità, mina alla base la crescita, perché taglia la radice che rende necessaria l’educazione: l’essere figli. È questa la condizione originaria e originale di ciascuno, una condizione non meramente biologica, ma spirituale, che si genera e rigenera attraverso racconti, gesti, azioni, proprio come quando mio padre mi prendeva in braccio e lanciava in aria, per spingermi nel futuro con la sua forza, mentre mia madre voleva tenermi ancorato alla terra del suo grembo: a che serve uno spazio di radici senza un orizzonte di attesa di rami e frutti? La difficoltà a consegnare un’esperienza credibile, una storia valida, un’eredità solida, rende sterile qualsiasi relazione impegnata a far crescere l’altro: la politica promette paternalisticamente il futuro ma nei fatti non lo apre; l’arte si chiude in discorsi incomprensibili che di fatto disprezzano l’uomo e poi, per raggiungerlo, si riduce a effimera provocazione o seduzione commerciale; la scuola diventa addestramento, scatola di prestazioni, ripetizione di pensieri altrui, anziché acquisizione di un’esperienza custodita e raccontata per essere vagliata e rinnovata da chi l’ha ricevuta.



Il letto da rifare di oggi, come mostra la lettera, è il silenzioso urlo di orfani e diseredati, ragazzi e ragazze generati alla vita ma non al senso della vita, riempiti di oggetti ma privi di progetti, dimenticati da una politica divenuta impotente (nel senso di sterile) di fronte alle cifre spaventose della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e della crisi demografica. C’è una paternità che nutre i figli perché siano migliori dei padri e una invece che, come Saturno, li divora per paura che i figli caccino i padri. Due visioni antitetiche contenute nei due sogni, relativi al defunto padre, raccontati dal protagonista del libro di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi: «Il primo non me lo ricordo tanto bene, lo incontravo in città e mi regalava dei soldi e mi pare che li perdevo. Ma nel secondo sogno era come se fossimo tornati tutti e due indietro nel tempo, io ero a cavallo e attraversavo le montagne di notte. Faceva freddo e a terra c’era la neve, lui mi superava col suo cavallo e andava avanti. Senza dire una parola. Continuava a cavalcare, era avvolto in una coperta e teneva la testa bassa, e quando mi passava davanti mi accorgevo che aveva in mano una fiaccola ricavata da un corno, come usava ai vecchi tempi. E sapevo che stava andando avanti per accendere un fuoco da qualche parte in mezzo a tutto quel buio e a quel freddo, e che quando ci sarei arrivato l’avrei trovato ad aspettarmi». I veri padri aprono la strada, portano il fuoco e lo donano ai figli, nella notte fredda e buia della storia, perché poi toccherà a loro fare altrettanto, di generazione in generazione.



Ma come possiamo crescere quando i padri rinunciano al loro ruolo di aprire la strada a chi viene dopo di loro? Come possiamo sperare quando i maestri perdono il fuoco?



Possiamo ancora essere figli di qualcuno?

venerdì 9 febbraio 2018

Il 14 febbraio saremo a Terni per la Giornata Mondiale contro l'Epilessia

Con piacere, pubblichiamo la lettera che abbiamo ricevuto da AICE (Associazione Italiana contro l'Epilessia) per invitarci all'iniziativa che si terrà a Terni (terra di San Valentino, patrono anche delle persone colpite da forme epilettiche) il prossimo 14 febbraio dove saranno proclamati i vincitori del bando AICE 2017 su progetti dedicati alle persone affette da forme epilettiche: noi saremo lì, con un progetto realizzato per l'inclusione scolastica di un bambino con disabilità intelletiva e epilessia.

Grazie AICE-EPILESSIA


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Spett.le Cooperativa sociale Amici di Mariele Onlus,

per sconfiggere la farmacoresistenza che, nonostante i numerosi farmaci, opprime circa il 40% degli oltre 300mila italiani con epilessia AICE conferma con i 40mila € del 12° “Bando per la RICERCA” il sostegno a 2 progetti sperimentale e con i 18mila del 2° “Bando 6 CON NOI” riconoscimento ai percorsi inclusivi riconosciuti quale buone prassi.

“Accendi il cuore per l’epilessia” è l’invito che AICE ed il Comune di Terni lanciano per la Giornata Internazionale e la festività di san Valentino, con questi due bandi e consegnando i fondi ai progetti di RICERCA sostenuti lo scorso anno: dott.ssa Moroni dell’Ist. Besta di Milano, prof. Guerrini dell’Ist. Meyer di Firenze ed extra bando dott.ssa Di Nunzio dell’Ist. Negri di Milano ed ai percorsi inclusivi Samuele Vicino nella scuola “Amici di Mariele” di San Pietro in Casale e Matteo Generali nel lavoro nella cooperativa sociale ECO- Company di Cremona. (informazioni sul sito www.aice-epilessia.it)

In occasione della Giornata Internazionale AICE pone al Governo la richiesta di un osservatorio sull’epilessia per uscire da una genericità che non ci permette di definire al meglio la condizione e le misure inclusive necessarie alle nostre famiglie:

- quante sono le persone con epilessia prese in cura dal SSN?
- quanti riescono a controllare le crisi con le terapie e quanti no?
- quanti hanno richiesto l’esenzione per patologia?
- quanti hanno richiesto il riconoscimento dell’invalidità ed a quanti è stata riconosciuta?
- quanti necessitano a scuola la somministrazione di farmaci?
- quanti perdono o non trovano il lavoro a causa della patologia?

Illuminiamo il principale monumento delle persone con epilessia: il Sistema Sanitario Nazionale. Conoscere questi dati ci permetterebbe d’illuminare la nostra quotidianità, uscire dalla generica lamentazione e sostenere adeguatamente la richiesta di misure inclusive contro una persistente discriminazione.

Con una crisi perdi … patente … lavoro … amici, ma… con una crisi non puoi accedere come gli altri alle agevolazioni inclusive.

Bologna, 08 febbraio  2018                                

IL PRESIDENTE AICE ONLUS
Giovanni Battista Pesce