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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

martedì 31 gennaio 2017

La motivazione come strumento nell'educazione




(......) la motivazione è la leva sulla quale insistere per ottenere un risultato nel campo dell’educazione. Chi ha responsabilità educative adopererà la motivazione su se stesso in quanto spinto dal bisogno di educare ma soprattutto l’userà sul beneficiario dell’educazione all’interno di un progetto finalizzato al suo inserimento sociale ed alla conoscenza.
Per chi educa essere motivato è vitale: rappresenta il punto di partenza da cui agire per generare un circolo virtuoso che influisca sulle motivazioni del figlio. E’ da supporre che per un genitore sia naturale essere mosso da questa forza. A ben guardare, però, anche per un padre od una madre la spinta può essere incostante a causa di fattori che cercherò brevemente di riassumere di seguito.

ANSIA: Può essere considerato il primo dei fattori ostacolanti. L’insicurezza, fonte dell’ansia, dovrebbe essere distinta dal dubbio. La prima genera, infatti, paralisi nel perfezionamento di un’azione (nei casi estremi), si manifesta contemporaneamente all’azione stessa ed interferisce negativamente, comportando, eventualmente, una distorsione nella percezione dei risultati.
Il “dubbio”, se non patologico, può invece intervenire in modo positivo poiché sorge DOPO valutazione delle conseguenze di un’azione ed è motivo di revisione delle azioni successive e di correzione di eventuali errori precedenti.
In definitiva mentre un ”insicuro” non inizia o non progredisce, un “dubbioso” modifica e migliora.
Il genitore ansioso è pervaso, in genere, da una sgradevole sensazione di inadeguatezza. L’effetto limitante sui rinforzi positivi è dovuto alla sua scarsa obiettività nella valutazione dei risultati ottenuti nel percorso. Si genera un circolo vizioso nel quale la motivazione viene soffocata dalla paura di commettere errori. In queste condizioni possono verificarsi tre evenienze:
1) la motivazione rimane ma l’azione è scoordinata ed incostante nel tempo. Il soggetto è quindi poco gratificato dal compito che si è assunto, interpretandolo come infruttuoso, pesante. Il rischio è dato da un cedimento che può evolvere verso una “paralisi educativa”, nella quale la tentazione più forte è quella di iperproteggere il figlio nel timore che ogni sua nuova esperienza  costringa il genitore ad un adeguamento.
2) La motivazione rimane forte ma il senso di inadeguatezza costringe l’educatore a scaricare su altri la responsabilità dell’educazione (scuola, amici, nonni, ecc.) . In questo caso, venendo meno l’ansia (poiché non c’è azione diretta) il soggetto può divenire ipercritico rispetto ai risultati ottenuti dal figlio e nei confronti di chi è stato caricato della responsabilità. In tale situazione sarà la motivazione di chi impara ad essere minata alla base da critiche dei metodi e dei risultati.
3) La motivazione ad educare si spegne, soffocata da una percezione gravemente distorta dei risultati che, per retroazione, genera nel soggetto una sensazione di inutilità degli sforzi. In questo caso il figlio non fruirà dei rinforzi che l’educatore ha il compito di somministrare: in pratica dovrà ricercare, con intuibili difficoltà, gratificazioni e correzioni al di fuori dell’ambito familiare, rivolgendosi dove è più semplice ottenere conferme (ad esempio facendo capo a compagni di età maggiore, con immaginabili conseguenze).

INTERFERENZE AMBIENTALI SVALUTATIVE: insorgono quando, nell’applicazione pratica di una strategia educativa, si riscontrano, da parte dell’ambiente e della società, critiche sul metodo e svalutazioni dei risultati. La motivazione del genitore può subire contraccolpi tanto più forti quanto più la recettività alle opinioni altrui è sviluppata. Il terreno più fertile è rappresentato dal genitore ansioso (vedi prec.). Senza considerare le buone intenzioni di chi si erge a giudice, l’educatore, per non esserne influenzato negativamente, dovrebbe usare le critiche come strumento a suo vantaggio. Se il progetto educativo che persegue è ben strutturato nei suoi fondamenti, tutto ciò che interviene dall’esterno a turbare gli equilibri ha la funzione di termine di paragone, sul quale rafforzare le proprie convinzioni o, se del caso, rivederle (vedi differenza tra insicurezza e dubbio). Risulta di facile comprensione che, nel caso di un progetto educativo confuso, le interferenze possano modificare o minare non i particolari ed i collaterali del metodo, ma il metodo stesso, rallentando o bloccando il progresso dell’azione. 

L'articolo completo è sul blog del Dott. Stefano Tasca : QUI

martedì 24 gennaio 2017

Incontri di orientamento familiare a Ferrara. Dal 26 gennaio



Quattro interessanti incontri di orientamento familiare organizzato da As.e.o.f., un’associazione a carattere volontario e senza scopo di lucro, con il fine di promuovere la famiglia attraverso attività di formazione e orientamento rivolte a figli,  genitori, insegnanti ed educatori.
 
Gli incontri si terranno a Ferrara
Casa di Cultura "Giorgio Cini"
Via Santo Stefano 24, Ferrara

Il mondo dei giovani: il rapporto con i genitori e il fidanzamento
giovedì 26 gennaio ore 18,30
incontro con don Ugo Borghello
Grande esperto dell'amore umano, Don Ugo è un sacerdote che conosce il cuore dell’uomo come pochi, vale la pena ascoltarlo. ma vale poi la pena anche leggere i suoi tanti libri un dedicati ai fidanzati e agli sposi.


Emergenza educativa: perchè oggi è necessario un progetto educativo
giovedì 16 febbraio ore 18,30
incontro con dott. Paolo Fontana

Paolo Fontana ha dedicato buona parte della sua vita a studiare i temi della famiglia e dell'orientamento familiare: da molti anni, con successo porta avanti corsi di orientamento molto seguiti da genitori e sposi.


La questione demografica e la famiglia come risorsa per la società
giovedì 9 marzo ore 18,30
incontro con Prof. Leonardo Allodi

Docente all'Università di Bologna, il prof. Leonardo Allodi, è un profondo conoscitore e studiosi dei temi della famiglia e della società che si sta trasformando di fronte alle sfide che derivano dalla globalizzazione.


“Semplicemente una mamma”
giovedì 23 marzo ore 18,30
incontro con Annalisa Sereni

Medico, mamma e anche moglie: le tre M di Annalisa Sereni erano il suo ideale di bambina. Ora sono la sua realtà, che come sempre succede, magari non è come lo immagina da bambina. Ma forse è ancora più bello così. Tutto questo Annalisa lo racconta in un libro uscito nel ottobre 2015 e ancora oggi molto letto: "Semplicemente una mamma" (ed. San Paolo)

sabato 21 gennaio 2017

Sabato 28 gennaio 2017, il XXI Trofeo Mariele Ventre a Modena, Palazecchino

Pattinaggio, Modena, Il trofeo "Mariele Ventre" compie 20 anni Eventi a Modena

Sabato 28 gennaio 2017 alle ore 15 a Modena (Palazecchino, Via dello Sport 25) prenderà il via il XXI trofeo di pattinaggio a rotelle “Mariele Ventre”, una grande festa in memoria dell’indimenticabile fondatrice del Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna.

Dopo il successo dell'edizione 2016, il “Trofeo Mariele Ventre” festeggerà ancora all’ombra della Ghirlandina anche il suo ventunesimo compleanno.

L’iniziativa, realizzata soprattutto grazie al lavoro di tanti volontari modenesi e bolognesi, è promossa dal Movimento rotellistico Uisp in collaborazione con la Fondazione “Mariele Ventre” e con l’Antoniano di Bologna, con il patrocinio del Comune di Modena.

La manifestazione è a ingresso libero per tutti bambini under 10 e per gli studenti under 18 della provincia di Modena (la richiesta di accreditamento va fatta tramite Uisp Modena). Per gli adulti è previsto invece un biglietto di ingresso a 10 euro che contribuirà a sostenere i progetti di solidarietà avviati dalla Fondazione Mariele Ventre e dall’Antoniano.

Visita la pagina ufficiale dell'evento : TrofeoMarieleVentre.org

giovedì 12 gennaio 2017

Siamo genitori esemplari, allora perché i figli non ci danno retta?


Nel rapporto genitore-figlio non importa se si è una donna delle pulizie, se si ha un dottorato o il numero di zeri presenti nel conto.

Prima non c’era bisogno di manuali su come essere genitori, lo si era semplicemente…

Adan, sei anni, soffre di attacchi di isteria ed è aggressivo con i suoi genitori. Quando torna a casa, si siede davanti alla TV e “scompare”. I giochi proposti da sua madre vengono ignorati con un “Che noia, non mi interessa”.
Maria, undici anni, come regalo di compleanno ha ricevuto un tablet e uno smartphone. Adesso è questa la sua attività principale: Snapchat, Messenger, YouTube… in poche parole il centro operativo del mondo adolescenziale. Di conseguenza, è in contatto permanente con gli amici ed è in grado di informarsi su qualsiasi argomento.
“Hai messo in ordine la tua camera? Hai fatto i compiti e preparato le cose per domani?”, chiede di nuovo il padre, irritato. “Come no?”
“Non vedi che sto facendo qualcos’altro?”
“Non ho intenzione di discutere con te! In camera, ora!”, urla il padre.
“Ah! Tu non capisci niente!”, dice l’adolescente con rabbia sbattendo la porta.
Sbaglia il padre o il figlio? Conosciamo molto bene questo tipo di scenario, non serve andare troppo lontano. Probabilmente avete anche voi degli amici con bambini che esplodono di rabbia come vulcani attivi, che si ritirano dalla vita sociale, si chiudono in se stessi, consumano sostanze psicoattive, sono violenti o sotto trattamento per depressione, nevrosi e ansia.
Bambini che sembrano non avere uno scopo nella vita, le cui guide sono le star di YouTube e gli amici di scuola, invece dei loro genitori. Genitori realmente coinvolti, responsabili e premurosi.
Quanto più vogliamo abbattere il muro che si frappone tra noi e i nostri figli, tanto più iniziamo a supplicare, chiedere favori, trattare, ricattare, premiare o punire.
Imponiamo la nostra disciplina in modo autoritario, cercando colpe nella scuola, nei giochi o nella televisione, finendo col sentirci semplicemente inutili.
Il ruolo di genitore inizia ad essere un peso, perché non siamo più sicuri che i nostri figli abbiano fatto proprio il sistema di valori e principi che vogliamo trasmettere loro.
È un paradosso del nostro tempo, perché abbiamo accesso a una quantità enorme di informazioni sullo sviluppo e sui metodi educativi. Abbiamo un milione di guide e corsi, in teoria dovremmo essere genitori esemplari.
Troppo spesso, tuttavia, ci sentiamo inutili. I bambini non obbediscono, o sono semplicemente indifferenti. Perché – nonostante siamo tutto l’amore che offriamo – essere genitori non ci riesce bene?

Il contatto e vicinanza
Questa domanda è stata posta dallo psicologo Gordon Neufeld nel libro “La unión”, un bestseller che considero un manuale imperdibile per qualsiasi genitore.
Secondo Neufeld, la chiave per capire le origini della crisi della paternità è il contesto. Questo è quanto richiede l’educazione produttiva. Perché l’educazione automatica – risultante dal semplice fatto di essere adulti e decidere motivati dall’amore – per quanto possiamo ritenere che sia il meglio per i nostri figli, non funziona.
Solo quando il bambino si fida di noi – noi che vogliamo essere un faro per lui, un posto sicuro nel mondo – ci saranno i risultati attesi.
Ma “affinché il bambino sia disponibile ad essere educato da un adulto, è necessario che ci sia un legame con quell’adulto, che ci sia il desiderio di stargli vicino (…). Il segreto non sta tanto in ciò che si fa, ma piuttosto nel modo in cui si è come genitori”.
Nel rapporto genitore-figlio, per un bambino, non importa se si è una donna delle pulizie, se si ha un dottorato, se si è famosi, disabili, o il numero di zeri presenti nel conto. Nessuna di queste cose può annullare o garantire il successo dell’essere genitori.
Nel nostro mondo ci sono milioni di persone più o meno adatte a dare consigli su scienza, lavoro o sport. Ma sarà a te che il bambino chiederà supporto e suggerimenti. Perché sarai tu – e nessun altro – il miglior maestro, l’ispirazione, la guida, il rifugio, il modello da seguire e l’amico… se prima ti sei preoccupato di consolidare il vostro rapporto, cioè, di creare un legame forte. È questa l’unica condizione che è necessario soddisfare.

Articolo originale su Aleteia.org 
(Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista)

domenica 8 gennaio 2017

L’effetto Pigmalione a scuola

Estratto da articolo originale su www.youreduaction.it

Il fenomeno dell’effetto Pigmalione è conosciuto anche con il nome di “profezia che si autoavvera” o “effetto Rosenthal“, (dal nome dello psicologo tedesco che per primo studiò e teorizzò questo fenomeno, insieme a Leonora Jacobson).

Il personaggio di Pigmalione possiamo ritrovarlo in un brano della mitologia greca di Ovidio: la storia narra che Pigmalione, scultore e re di Cipro, realizzò una statua di avorio così bella da innamorarsene.

Chiese quindi alla dea Afrodite di trasformare la statua in una creatura umana in modo da poterla sposare (Rosenthal per la definizione di questo fenomeno si riferì non al mito greco ma alla celebre e omonima opera teatrale di George Bernard Shaw del 1912).

Vediamo quindi concretamente come si configura questo fenomeno psicologico: si tratta di una forma di suggestione per cui le persone tendono ad adeguarsi e a conformare i loro comportamenti all’immagine che altri individui hanno di loro. Questo succede sia che essa sia un’immagine positiva sia che sia negativa.

A titolo esemplificativo cito l’esperimento condotto dallo stesso Rosenthal e dalla sua equipe. Somministrarono ad alcuni bambini, facenti parte di una scuola elementare californiana, un test d’intelligenza. Successivamente al test vennero selezionati, casualmente, alcuni bambini e ai loro insegnanti fu fatto credere che fossero dotati di un’intelligenza sopra la media.

L’anno seguente Rosenthal si recò nuovamente presso la scuola elementare e constatò che il rendimento dei bambini selezionati era molto migliorato rispetto a quello dei coetanei. Questo grazie all’influenza benefica che i docenti avevano avuto verso quei particolari allievi, stimolandone la passione verso lo studio, in modo inconscio.

L’ effetto Pigmalione ovviamente può attivarsi non solo nell’ambito scolastico ma in tutti quei rapporti di tipo sociale: come tra datore di lavoro e dipendente, in ambito familiare tra genitori e figli o in ambito medico (il cosiddetto “effetto placebo”).

Se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato rispetto agli altri, lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso rispetto al gruppo classe; il bambino interiorizzerà il giudizio ricevuto e si comporterà di conseguenza. Viene a instaurarsi così un circolo vizioso per cui il bambino si conformerà all’idea di sè che gli viene rimandata e tenderà a divenire esattamente come l’insegnante lo aveva immaginato ed “etichettato”.

Quando succede questo?

Ad esempio quando un alunno viene sorpreso a copiare durante una verifica, magari più di una volta.

In occasione di una futura verifica, anche se avrà studiato seriamente, il suo voto positivo non sarà valutato in modo giusto ma il pensiero sarà “ha copiato anche questa volta, solo che non me ne sono accorto. Non ha studiato, copia sempre” e il ragazzo si vedrà penalizzato nella votazione.

Un altro caso tipico è un ragazzo che non è particolarmente portato per una determinata materia e prende sempre voti bassi. Accade però che un argomento specifico, in una occasione, riesca a comprenderlo senza difficoltà e quindi ad ottenere una votazione almeno sufficiente.

In questo caso il pensiero ricorrente sarà simile a questo “impossibile ci sia riuscito da solo, non è portato, non capisce la materia, deve aver copiato per forza“, senza immaginare che ci possono essere mille motivi per cui una persona possa capire più o meno facilmente alcuni concetti rispetto ad altri.

Non vi è mai capitato direttamente o indirettamente di sentire frasi come “non ci riuscirà mai anche se si impegna, impossibile che sia opera sua, questo è troppo per lui?”. Questi concetti equivalgono a delle gabbie mentali che non ci lasciano liberi di valutare le circostanze in modo imparziale e giusto.

Facendo parte di un contesto sociale che valuta solo il suo rendimento, per di più se in maniera negativa, il bambino, in maniera inconscia, omologa i suoi comportamenti all’etichetta che gli è stata data. Pertanto quando il suo lavoro si rivelerà positivo troverà egli stesso delle motivazioni per svalutarlo, in modo da potersi conformare all’idea che ha acquisito di sé.

Non si fatica a comprendere quanto questo fenomeno possa rivelarsi pericoloso quando si connota in maniera negativa, andando a incidere profondamente sia sui rendimenti scolastici sia sull’autostima.

Effetti che dal bambino si ripercuotono su tutto il nucleo familiare nel complesso.

lunedì 2 gennaio 2017

Perché non dovete aiutare i vostri figli a fare i compiti a casa: lo dice la scienza

Aiutare i figli a fare i compiti o correggerli è controproducente, lo sostengono i pedagogisti da tempo e adesso lo conferma uno studio americano.


Trascorrere le serate a finire, completare, correggere i compiti dei figli è controproducente sotto vari punti di vista. Lo sostengono i pedagogisti da tempo e adesso lo conferma anche uno studio americano, da poco pubblicato, secondo cui l’intervento dei genitori nelle attività scolastiche è nella maggior parte dei casi semplicemente inutile, in altri addirittura dannoso.
Gli studiosi hanno analizzato diversi casi in cui i genitori si inseriscono nel percorso scolastico dei figli (non solo i compiti per casa, ma la scelta del liceo, le attività extra scolastiche, i rapporti con i professori e con gli amici) e i risultati delle loro ricerche confermano che i genitori più interventisti non hanno accresciuto il successo accademico dei figli, anzi in diversi casi lo hanno involontariamente ostacolato.
Sulla rivista pediatrica UPPA , il pedagogista Daniele Novara scrive: “I nostri figli hanno i compiti da fare, e, punto molto importante, li devono fare loro… Se un senso i compiti ce l’hanno è quello di aiutare a consolidare degli apprendimenti, stimolare autodisciplina e responsabilizzazione, e l’intervento continuo dei genitori da questo punto di vista ha molteplici svantaggi”.
L’esperto sottolinea che intervenendo non solo si impedisce ai bimbi innanzitutto di trarre beneficio dagli esercizi, quindi di imparare quello che il programma scolastico propone, ma si limita anche la loro possibilità di mettersi alla prova, di imparare dagli errori, di sviluppare la capacità di impegnarsi, di accettare la fatica.
Se il dubbio di un genitore è che la mole di lavoro sia troppa (anche se non è  facile capire quale sia il ‘giusto’) ne deve parlare con l’insegnante, non assolvere i doveri del figlio o esplicitare riserve sui compiti per casa davanti a lui. “È importante accettare la realtà dei compiti e la necessità dell’impegno personale che richiedono. Certo, si fa fatica!”, continua il pedagogista affermando che nella nostra società, tutta immagini e velocità, approcciarsi ai libri, alle richieste di impegno, allo studio, appare difficile ad un ragazzo che è immerso nella cultura del web , del tablet, dello smartphone che dà sempre la risposta giusta alla velocità della luce.
E’ proprio il compito dei genitori “legittimare l’importanza dell’impegno”. Monitorare va bene, aiutare un po’ meno se significa ‘risolvere’ i quesiti: se ci si accorge che il bimbo non capisce qualcosa, lo si deve invitare a rivedere la regola o la lezione, non suggerirgli la risposta esatta. Nemmeno la correzione a fine compiti è particolarmente utile: è la maestra, nel contesto scolastico, che troverà gli errori, li correggerà, e provvederà, se necessario, a rispiegare quello che non è stato compreso. La funzione dei compiti non è solo consolidare l’apprendimento ma anche favorire la capacità di impegnarsi del bambino.
L’aiuto che può dare la mamma è utile se ‘organizzativo’, nel decidere un orario da rispettare, assicurarsi che il bimbo abbia dormito abbastanza, che goda di un ambiente tranquillo, ben illuminato e privo di distrazioni (cellulare, tv e dispositivi vari), nel fargli fare pause rilassanti, nell’invitare qualche volta gli amici a studiare insieme perché anche fare i compiti abbia un risvolto divertente (“Le ultime scoperte neuroscientifiche, in particolare lo studio sui neuroni specchio, hanno messo in evidenza il ruolo fondamentale dell’attivazione reciproca e dell’imitazione nel favorire e stimolare i processi di apprendimento” scrive Novara). E soprattutto senza criticare, correggere ma premiando i successi e gratificando l’impegno.



Articolo originale leggibile su :  dilei.it