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lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

giovedì 7 giugno 2018

Aiutare i figli nei compiti: giusto o sbagliato? L'esperto dice "meglio spronarli a fare da soli"


Quale genitore non si rende disponibile ad aiutare i propri figli a fare i compiti? Soprattutto quando c’è l’incubo delle prove Invalsi. Che si tratti di terza elementare o scuola media, mamma e papà si fanno in quattro per dare assistenza ai ragazzi che studiano. E, infatti, madri e padri sono sfiniti e si sfogano nei gruppi Whats Aapp lamentandosi tra loro. Ma è una scelta giusta? Sembrerebbe proprio di no. Anzi, le ultime ricerche condotte presso le Università della Finlandia orientale e di Jyväskylä dicono che aiutare troppo i figli nuoce al loro sviluppo. Al contrario, renderli autonomi - anche a costo di qualche errore - li fa diventare più tenaci.

Questione di fiducia
Nell'ambito della ricerca sono stati presi in considerazione i bimbi che frequentano la primaria dal secondo al quarto anno. Più le mamme davano ai figli opportunità per lavorare da soli per i compiti a casa, più il bambino diventava tenace per raggiungere il risultato. "Una possibile spiegazione è legata al fatto che quando la madre dà al bambino l'opportunità di fare i compiti autonomamente, la mamma invia anche un messaggio a dimostrazione che crede nelle sue capacità", spiega Jaana Viljaranta, docente dell'Università della Finlandia orientale.

Genitori spazzaneve
Al contrario, invece, un'assistenza concreta per i compiti da fare casa (specialmente se non è richiesta dal bambino) può inviare il messaggio opposto, cioè che la madre non crede nella capacità del figlio di fare i compiti. “Il modello – conferma Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva presso il Dipartimento di Scienze Bio-mediche dell’Università degli Studi di Milano-  è quello del genitore spazzaneve che invece di stare al fianco del figlio gli si mette davanti. Insomma, guidato dall’ansia di sostenere la crescita dei figli quasi si sostituisce a loro. Invece, l’ingresso a scuola dei bambini dovrebbe vedere l’adulto come un allenatore che lo conduce lungo il percorso e non come colui che ha la sola priorità di raggiungere l’obiettivo”.


Autonomia e valore degli errori
Quali conseguenze ha sui bambini quest’atteggiamento da mamma o papà chioccia? “Succede che anziché abituarsi a gestire i compiti in autonomia e a conquistare man mano i loro spazi – prosegue l’esperto - aumentano tantissimo le funzioni di delega”. Insomma, è come se i figli si aspettassero che il genitore gli mettesse a disposizione le proprie competenze. L’altra conseguenza riguarda l’ansia da prestazione: “I genitori di oggi – prosegue Pellai che è anche autore, insieme a Barbara Tamborini, del libro ‘Il metodo famiglia felice. Come allenare i figli alla vita’ (Edito da DeA De Agostini) – fanno un monitoraggio costante dei compiti perché deve essere tutto perfetto e senza sbavature mentre dovrebbero stare due passi indietro e soprattutto tollerare l’imperfezione e l’errore che sono tipici dell’età evolutiva e che permettono al bambino di crescere”.

L'ansia da prestazione dei propri figli
Questa eccessiva presenza del genitore come guardiano scolastico comunica ai figli la mancanza di fiducia nei loro confronti e nella loro capacità di farcela da soli. Che a sua volta genera una dipendenza costante ma anche il timore di sbagliare: “I bambini spesso temono molto di più la verifica da parte dei genitori piuttosto che quella degli insegnanti – spiega Pellai. Questo genera negli adolescenti un’epidemia di ansia da prestazione spaventosa”.

L'aiuto: solo su richiesta e nel modo giusto
Insomma, i genitori devono farsi un po’ da parte. Ma come si fa a tornare indietro se fino ad oggi siamo stati ‘genitori spazzaneve’? “Riprogrammando tutto insieme agli insegnanti per capire da loro di cosa ha bisogno il bambino e come è meglio comportarsi perché in questi casi il miglior consulente è l’insegnante” suggerisce Pellai. Insomma, i genitori non devono più entrare nella vita scolastica del figlio e devono smettere di stargli con il fiato sul collo.

Come tenerli inchiodati alla sedia
Il fatto è che i nostri ragazzi hanno tutti una gran fretta di finire i compiti per correre a giocare con la Playstation o tuffarsi nella rete con i vari dispositivi elettronici. Insomma, l’unica ansia che hanno è quella di finire presto per fare altro. Ma non è certo sostituendosi a loro che gli si insegna la responsabilità. Anzi. “Se siamo troppo presenti – fa notare lo psicoterapeuta – non li aiutiamo ad allenare le loro capacità di apprendimento e di concentrazione”. Piuttosto meglio fare degli interventi che servono a disciplinare il tempo che dedicano allo studio in modo che non abbiano distrazioni: “Per esempio, il genitore stabilisce che debba fare due sessioni di studio da 20 minuti ciascuna. Il suo ruolo, allora, deve essere solo quello di regolare il tempo, cioè deve comportarsi come l’allenatore che resta a bordo pista”. Guai, però, a correggergli i compiti: bisogna lasciarli così come li ha svolti, anche se ci sono errori. Lo studio dell’orale? “Va bene farsi ripetere storia e geografia, ma senza commentare in modo che il bambino impari ad ascoltarsi da solo”.

Cosa fare se chiedono aiuto
Ma come comportarsi se sono i figli a chiedere il nostro aiuto perché, per esempio, non hanno capito qualcosa? Dobbiamo negargli l’aiuto? “Verifichiamo cosa sta chiedendo – avverte Pellai. Se si tratta di qualcosa che non ha capito, allora lo aiutiamo spiegandogli l’argomento ma lasciando che faccia da solo il compito assegnato. Se, invece, la richiesta è proprio quella di fare i compiti al suo posto perché non si sente motivato, allora non bisogna aiutarlo ma spronarlo a fare da solo”.

Articolo estratto da Repubblica 21 maggio 2018 qui originale
Ascolta Alberto pellai su Radio24 del 25 maggio 2018 qui

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