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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

venerdì 21 aprile 2017

Ciò che mi sta a cuore è la tua felicità.Volersi bene, volere il bene dell'altro.



Rilanciamo qui un articolo pubblicato da Saverio Sgroi sul suo blog "La Sfida Educativa" (qui leggi originale completo: www.lasfidaeducativa.it)


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Che cosa vuol dire “generative occasioni di crescita”? Che cosa dovrebbero essere in grado di generare queste occasioni?
Possiamo trovare la risposta a queste domande a partire proprio dall’etimologia del verbo generare, dal latino genus, che significa nascita, stirpe, discendenza. Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, nel loro libro Generativi di tutto il mondo, unitevi!, scrivono: “Generare fa parte di un insieme di termini quali ‘generosità’, ‘genialità’, ‘genitore’ che condividono la stessa radice genus (genere), la quale rimanda a significati quali partorire, germogliare, fabbricare. In sostanza, mettere al mondo. O, più estensivamente, dare vita, far essere.
Se generare ha questo significato, un’occasione generativa è allora un’occasione capace di far nascere nuove risorse, di dare vita nel senso più ampio del termine, ma soprattutto di dare un tipo di vita che porta in sé quella pienezza di senso capace di realizzare l’umano che c’è in ogni persona. E qual è quella realtà che rappresenta per l’uomo la più grande occasione di generatività, se non la relazione? È nella relazione infatti che l’uomo si realizza, incontrando e conoscendo pienamente se stesso, attraverso la conoscenza e l’incontro con l’altro: “Io divento io dicendo tu”, scrive il filosofo Martin Buber.
Pensiamo a quelle relazioni che per noi sono particolarmente significative, come l’amicizia o l’amore; non costituiscono forse le esperienze principali attraverso le quali impariamo ad amare? Oppure pensiamo, in negativo, alla solitudine, che rappresenta l’antitesi della relazione e che probabilmente è la realtà peggiore che una persona possa sperimentare. Il pedagogista Antonio Bellingreri, per spiegare l’importanza dell’empatia, quella qualità che permette di comprendere e sentire il mondo interiore altrui come se fosse il nostro, usa delle parole molto belle che ci aiutano a capire quanto la relazione sia essenziale per una persona: “Se nessuno conoscesse i nostri pensieri e comprendesse il nostro sentire, saremmo consegnati ad una solitudine insuperabile”.
La relazione ci rende pienamente umani, fa fiorire l’umano che c’è in ogni persona. È l’origine stessa della parola che ce lo rivela: relazione deriva dal latino relatus, participio passato del verbo referre, che significa portare indietro, riportare. Essa ci restituisce, attraverso l’altro, qualcosa di noi che solo l’altro può darci e che costituisce un elemento fondamentale per la costruzione della nostra identità. La relazione, tuttavia, ci umanizza solo se è fondata sull’amore, l’unica realtà capace di fare di noi un dono totale e gratuito a un’altra persona, condizione imprescindibile perché una relazione sia generativa.
Quali sono i risvolti di queste considerazioni sul piano dell’educazione, ed in particolare dell’educazione all’amore?
Riprendiamo il titolo dell’incontro ai genitori, che è pure il titolo di queste righe, ed entriamo nel merito di alcune parole che lo compongono: volersi bene, volere il bene. Che cosa significano concretamente queste frasi?
Qualche anno fa chiesi ad un gruppo di ragazzi di dirmi ciò che li aiutava nel rapporto che avevano con i loro genitori; la maggior parte delle risposte furono abbastanza ovvie e scontate: mi trattano da grande, mi danno fiducia, posso parlare con loro di qualunque cosa, credono in me, non mi giudicano, e via dicendo. Solo una ragazza diede una risposta fuori dagli schemi: volersi bene ed essere affettuosi tra loro.
Effettivamente, se ci pensiamo, noi impariamo ad amare nella misura in cui vediamo l’amore nelle persone care che ci stanno accanto e soprattutto se lo sperimentiamo a partire da qualcuno che ci ama incondizionatamente, solitamente i genitori. Sono i genitori – inizialmente la madre, poi il padre – che sono in grado di trasmetterci la certezza che la vita è bella e merita di essere vissuta fino in fondo. È l’abbraccio accogliente dei genitori che ci fa sperimentare l’unicità di essere chiamati per nome ad avere un ruolo attivo nei confronti della realtà. E se “il volersi bene” dei nostri genitori, e quindi la qualità della loro relazione reciproca, è un elemento fondamentale perché noi possiamo comprendere l’essenza dell’amore e integrarla nella nostra vita, è altrettanto vero che la nostra capacità di saper amare è condizionata inevitabilmente dalla relazione che i genitori intrattengono con noi. Quest’ultimo aspetto è di particolare importanza oggi, di fronte allo scoraggiamento che a volte prende i genitori quando la sorgente primaria dalla quale scaturisce l’educazione dei figli – la relazione tra di essi, il loro volersi bene – sia stata inquinata dalla ferita relazionale di quell’amore che ha permesso loro di mettere al mondo i figli. Sono sempre di più le famiglie toccate dalla ferita del divorzio o della separazione, ferita che lascia un segno non solo nella coppia ma anche nei figli, che subiscono la separazione dei genitori quasi sempre senza poter fare nulla per impedirla. Ma, pur nella sofferenza che un’esperienza del genere comporta, una relazione coniugale ferita o in alcuni casi addirittura morta non annulla mai la funzione genitoriale, che rimane per sempre: nessun essere umano sarà necessariamente padre o madre, marito o moglie, fratello o sorella, ma tutti, questo sì, siamo figli di qualcuno che ci ha messo al mondo, di qualcuno che ci ha generati, di qualcuno a partire dal quale prende forma, sempre, la costruzione del senso della nostra vita.
Queste riflessioni valgono particolarmente per l’educazione dell’affettività e della sessualità, che spetta innanzitutto ai genitori; perché non si tratta di dare “istruzioni per l’uso” sul come fare l’amore, ma di educare all’amore, di aiutare i figli a cogliere il nesso che esiste tra l’amore e la sessualità all’interno di una cornice di senso che solo chi li ha generati può illuminare pienamente. È evidente che, se i genitori sono separati, i figli faranno più fatica a comprendere fino in fondo questa cornice di senso; sarebbe ingenuo e non realistico ignorarlo. Ma anche nei casi più difficili e segnati dalla sofferenza il ruolo dei genitori rimane insostituibile, perchè essi sono per i figli la sorgente dalla quale è scaturito l’amore che li ha generati; l’esperienza comune dimostra quasi sempre come, anche se la sorgente fosse ormai asciutta o inquinata da tempo, ignorarla o peggio rifiutarla lascerebbe dentro di sé un vuoto più grande di quello che si sperimenterebbe cercando comunque di trovare un senso a questa situazione problematica e dolorosa.
Volersi bene, quindi, è il presupposto di ogni intervento educativo da parte dei genitori; solo dopo viene il voler bene. Ciò significa che un figlio deve vedere che l’amore tra i genitori viene prima dell’amore che essi hanno per lui; deve comprendere che i genitori prima di essere tali sono coppia e che l’amore per lui è comunque il risultato della sovrabbondanza dell’amore che c’è stato e che c’è tra di essi; la generatività si trasmette tanto più facilmente quanto più chi genera vive in prima persona la dimensione del dono.
Ma “volersi bene” è una frase che si può anche interpretare in senso riflessivo, cioè come il “voler bene a sé stessi”, che è la condizione fondamentale perché si sviluppi la capacità di voler bene agli altri: nessuno potrà amare un’altra persona se prima non ama se stesso, se non raggiunge quella pienezza e quell’equilibrio affettivo nei confronti di se stesso che gli permetterà di vivere relazioni sane e non segnate dal tarlo della dipendenza dall’altro, della ricerca del consenso dell’altro, del bisogno patologico dell’amore dell’altro.
Questo secondo significato delle parole “volersi bene” è altrettanto gravido di conseguenze educative: quanto è importante aiutare i figli a volersi bene, a credere in se stessi, ad acquisire quella sicurezza necessaria per affrontare non solo le relazioni con gli altri ma la vita in generale, il rapporto con la realtà!
Soltanto dopo il “volersi bene” possiamo spendere due parole sulla parte finale del titolo, quel “volere il bene” che rivela tutta la nostra capacità di amare un’altra persona.
Se è vero, come abbiamo visto, che impariamo ad amare solo se qualcuno ci ha amati per primi, ci rendiamo conto di quanto “volere il bene” dei figli influisca sulla loro personalità. Tanto ci sarebbe da dire sul nostro modo di trattare i ragazzi: la loro reazione è spesso condizionata dallo sguardo che poniamo su di loro, da come manifestiamo loro fiducia, in definitiva dal nostro modo di amarli. San Tommaso definisce l’amore una passione, nel senso che si riceve passivamente: noi siamo capaci di amare solo come risposta ad una prima presenza amorosa dell’altro in noi.
Volere il bene dei figli si può manifestare in mille modi, ma la cosa più importante rimane l’impegno messo nell’investire su quelle due dimensioni costitutive della relazione – e l’educazione è sempre una relazione – che sono lo spazio ed il tempo che condividiamo con loro. È difficile pensare di riuscire nel nostro compito educativo se non valorizziamo la dimensione dello spazio, che vuol dire stare con i ragazzi, condividere luoghi fisici ma anche personali – il nostro cuore, la nostra intimità – con loro. E ancora di più, non possiamo educare senza fare affidamento sulla dimensione del tempo: un bravo educatore, come un buon contadino con le sue piante, sa che le persone hanno bisogno di tempo e di cura per maturare; sa attendere che il seme attecchisca e che dia frutto a tempo debito, rispettando i tempi e la libertà di coloro che gli vengono affidati.
Nell’educazione, quindi, dovremmo costantemente rivalutare lo spazio ed il tempo. È vero che queste due dimensioni sono il palcoscenico dove vanno in scena, inevitabilmente, i nostri limiti ma è altrettanto vero che spazio e tempo sono anche la misura dell’amore: è solo donando il nostro spazio ed il nostro tempo che saremo capaci di amare i ragazzi che la vita ci mette accanto perché li accompagniamo lungo la strada del diventare adulti.


Saverio Sgroi, educatore e giornalista pubblicista. Si occupa da oltre 20 anni di attività educative con gli adolescenti, che incontra frequentemente nelle scuole per parlare di educazione dell’affettività e di orientamento universitario. Svolge conferenze e incontri per educatori (genitori e docenti) sul mondo degli adolescenti, sull’affettività, sulla comunicazione genitori-figli e sui social network. Dal 2008 ha fondato e dirige il portale per teenagers www.cogitoetvolo.it

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