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Persico : clicca qui
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D'Avenia,
Poretti e il più grande spettacolo al mondo prima del Big Bang
Alessandro
D'Avenia e Giacomo Poretti si sono incontrati alla scuola paritaria La Zolla di
Milano per parlare dell’educazione figli e studenti.
Di Roberto
Persico
Non capita tutti
i giorni di riempire un teatro da quattrocento posti, più tutte le persone in
piedi o sedute per terra, a discorrere di educazione. Certo la coppia dei
relatori ha il suo appeal: Alessandro D'Avenia e Giacomo Poretti, invitati da
La Zolla, la scuola che quarant'anni fa a Milano alcuni genitori hanno deciso
di iniziare perché anche i loro figli potessero godere della bellezza di vita
che loro avevano incontrato nella fede cristiana.
Ma che ci fanno un comico di successo e un romanziere di rango a parlare
di "Alleanza scuola-famiglia di fronte alle nuove sfide educative"?
Semplice, Poretti è un genitore, suo figlio è alunno de La Zolla, dove,
fedeli all'origine, non si smette di riflettere sull'educazione; D'Avenia è un
insegnante, molto amato dai suoi alunni (ma anche temuto, come racconterà…).
Tra i due un dialogo serrato, simpatico, che non di rado strappa una risata al
pubblico (si può non ridere con Giacomo?), ma per niente umoristico, anzi.
«Ai miei tempi - esordisce Poretti - l'alleanza scuola-famiglia era
chiara. Se prendevo un 5, tornavo a casa e pam!, mi beccavo una sberla. Se
azzardavo una timida difesa – "mah, la maestra…" - pam!, altra
sberla, discorso chiuso. Un'alleanza di ferro. Adesso, un insegnante deve avere
perlomeno un buon avvocato, uno psicologo e magari una guardia del corpo. E
sempre più si trovano insegnanti che si sentono inadeguati al proprio lavoro.
Tu ti senti mai inadeguato?».
La risposta di D'Avenia spiazza subito: «Sempre. Ogni giorno scopro di
essere inadeguato. Ma è giusto. Perché i ragazzi sono diversi da come li
immagino io. È il compito della realtà resistere all'immagine che noi ne
abbiamo. I figli, gli alunni fanno il loro dovere. Noi li consideriamo oggetti
da gestire; invece sono soggetti da servire. Per questo bisogna tener aperta la
porta al fallimento: perché ci permette di recuperare il nostro posto, di
riscoprire che i ragazzi non sono nostri, ci sono affidati». Legge la mail di
un suo studente: "Lei è il primo che ha preso sul serio il mio
desiderio". «Questo è il punto - prosegue -. Per noi i figli, gli alunni
sono problemi da risolvere, da far rientrare nello schema che abbiamo già
immaginato per loro. Invece ognuno di loro è un mistero, ognuno è una persona
con la sua struttura, con le sue potenzialità. Non cercano un adulto
infallibile, ma un adulto che sappia chiedere scusa. E che sappia guardarli per
quello che sono. E quando lo incontrano, esattamente come i ragazzi delle
generazioni precedenti, si entusiasmano»
«Invece gli adulti di oggi - incalza Giacomo (sintetizziamo, chi fosse
interessato troverà al più presto il file con la registrazione dell'incontro
sul sito
della scuola) - sembrano dominati dal
mito dell'eccellenza: se non hai tutti 10, se non fai tutto alla perfezione, se
non sai benissimo l'inglese, eccetera, sarai un fallito, dice la mentalità
corrente».
Ironizza, non può farne a meno, sul proprio curriculum scolastico -
istituto professionale fatto in qualche modo - e su quello dei suoi compari,
Aldo e Giovanni, non tanto diverso: dal punto di vista della scuola sono dei
falliti, bollati col classico "non combinerà niente di buono nella
vita"…».
«Perché veniamo da qualche secolo di mentalità borghese - è la risposta
-, che ha come criterio supremo l'efficienza, la produttività. E abbiamo
dimenticato che le persone sono un mistero, e che il futuro è nelle mani di
Dio». Per ribadire il concetto sfoggia la sua competenza di insegnante di greco
(i lazzi fra il dotto linguista e il figlio dell'operaio sono imperdibili): «Il
Vangelo dice "A ciascun giorno basta la sua pena". In realtà
l'originale greco è ancora più significativo: "La ferita di quello stesso
giorno è sufficiente". Questa è la questione: non si tratta di produrre un
risultato, ma di tenere aperta la ferita che la realtà, sempre, inevitabilmente
produce su ciascuno. Questo non vuol dire che tutto vada bene, che a scuola non
si debba valutare, tutt'altro (lui di voti ne dà tanti, e quelli belli non li
regala certo); vuol dire che puoi dare un 4 a uno e quello si sente guardato
come una cosa importante, capisce che quel 4 non è una pietra tombale, ma
un'indicazione per diventar grande. Il problema è che cosa desideriamo per i
nostri ragazzi: che abbiano successo dal punto di vista del mondo, o che
sappiano stare nella vita, davanti alla realtà, in modo vivo?».
La domanda successiva vien da sé: «Ma allora, da dove si può
ricominciare?». «L'educazione non è questione di tecniche, ma di tempo. Quanto
tempo noi genitori dedichiamo ai nostri figli? Ci lamentiamo che sono sempre
sui loro cellulari, ma chi ha messo il televisore in sala da pranzo, il
computer nella loro camera?». Tira fuori un'altra mail, questa volta è un
ragazzo che ha letto Bianca
come il latte, rossa come il sangue, e si rivolge all'autore per chiedere un consiglio. "Ho quindici
anni, ho tutte le ragazze che voglio ma non so che farmene. E non so che fare
della mia vita". «Vedete? - è il commento - I quindicenni di oggi sono già
una generazione di ritorno. Hanno una quantità sterminata di informazioni, ma
non la capacità di leggerle. Hanno già consumato internet, facebook, tutto quel
che noi accusiamo, e chiedono a noi che significato ha. E questo chiedono a
noi. Ma per farlo occorre tempo, occorre stare con loro. Quanto tempo stiamo
con loro? In quante famiglie si sta insieme a tavola?». Rievoca la sua
famiglia, sei figli, «con tante ferite e tanti fallimenti, non certo una
famiglia perfetta. Ma sempre unita, intorno alla cucina della mamma».
Dal pubblico qualcuno che evidentemente l'ha provata annuisce
entusiasticamente. Poi Alessandro lancia il botto finale: «I miei alunni sono
il più grande spettacolo del mondo prima del Big bang. Sì, prima, perché prima
del Big bang loro esistevano già nella mente di Dio. Il Big bang è stato fatto
perché potessero venire al mondo loro. Allora non puoi non guardarli come una
cosa grande, come un dono da seguire. Il resto sta a ciascuno di noi». Poretti
sintetizza nel suo stile: «Pasta al forno e sbagliare: ecco cos'ho imparato
questa sera».
Ma la sfida è
aperta, il lavoro prosegue. Prossimo appuntamento già in calendario: venerdì
con 22 Franco Nembrini.
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