Pubblichiamo oggi un
articolo di oltre dieci anni fa, ma sempre attuale. Si tratta di un'intervista al maestro
Mario Lodi e pubblicata su "Famiglia Cristiana" il 23 novembre 2008 e
rilanciata dal sito Movimento di Cooperazione Educativa (qui l'articolo
completo)
Mario Lodi (1922 –
2014) è stato un pedagogista, scrittore e insegnante italiano. La vita di Mario
Lodi ha interpretato culturalmente la ricostruzione dell'Italia sulla pedagogia
e sul mondo della scuola e dei bambini attraverso un impegno concreto e
quotidiano. In questo contatto quotidiano con i bambini, con la loro
osservazione partecipe, Lodi ha ridisegnato il valore educativo della scuola,
cambiandone aspetti e metodologie.
________________________________________
Mario Lodi: ecco la sua
lezione di vita.
di Elisa Chiari
Mario Lodi è ancora
il Maestro, con le maiuscole. A Drizzona, quattro case e un fazzoletto di campo
da Piadena, in piena bruma basso padana, sanno tutti dove abita. Perché così si
usava quando varcò per la prima volta col diploma in tasca la soglia di un’aula,
ai tempi in cui il maestro insieme con il parroco, il medico e il sindaco era
l’autorità del paese.
Eppure Mario Lodi
non ha nostalgia della scuola autoritaria di quei tempi. Anzi, è sceso dalla
cattedra il primo giorno accontentandosi di una sedia (per mettersi all’altezza
dei bambini) e da allora si batte per una riforma da dentro, senza troppi
riguardi per le teorie dei ministri d’ogni colore che si susseguono e fanno e
disfanno senza sosta. Sperimentò la sua idea di scuola quando ci entrò nel secondo
dopoguerra e la risperimenta oggi, a 86 anni, facendo da “chioccia” a un gruppo
di maestri giovani sparsi per l’Italia.
A guidarli
l’esperienza e le leggi che ci sono già, prima di tutto la Costituzione: “Non
per leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può
accontentarsi di leggere e scrivere, deve crescere cittadini responsabili”.
Da settant’anni
osserva bambini nel tempo e vede più continuità che differenze: “Il mondo è
diverso da allora, ma non sono convinto, da quel che vedo frequentandoli, che i
bambini di sei anni abbiano esigenze troppo diverse da quelle di sempre. Semmai
abbiamo un problema in più da fronteggiare, fatto di Tv e computer che scollano
sempre più i bambini dalla vita reale per proiettarli in un eterno virtuale,
insinuando in loro la convinzione che l’avere conti più dell’essere e del
sapere”.
Rende l’idea con un
aneddoto: “Sono stato in una classe poco tempo fa, ho chiesto ai bambini cosa
sognassero di fare, uno mi ha risposto ‘il miliardario’, ovviamente in euro,
‘così mi compro due belle ragazze e due macchine’. Gli altri ne hanno fatto
subito un leader. Nel ‘mi compro’ c’è un’idea di mondo. Se vogliamo una
speranza come scuola dobbiamo inventarci un sistema per fermare questo mercato.
Non so se l’idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo, poi magari alla fine
scopriremo che non vale, ma almeno proviamo”.
L’aula come uno Stato
Quel che Mario Lodi
sta provando è un’evoluzione adattata all’oggi del suo metodo di insegnamento.
La documentazione del progetto è un diario di fogli scritti al computer,
registra quel che i maestri con cui è in contatto fanno in classe giorno per
giorno, seguendo la sua idea di scuola democratica.
Che vuol dire
esattamente?
“I bambini arrivano
in classe con un sapere: esplorando il mondo hanno imparato a osservare, a
parlare e sviluppato spontaneamente un’enorme mole di conoscenze. Da lì bisogna
partire, cominciando a non ignorare le cose che sanno e replicando il metodo
con cui le hanno apprese. Un bambino che nasce ha nel pianto il primo strumento
per esercitare la libertà di espressione, sa usarlo anche se non sa che esiste
l’articolo 21”.
Il problema è che,
per usare le parole di Lodi, a scuola l’io deve diventare noi: “All’inizio,
parlando in classe, i bambini fanno confusione, si scavalcano, parlano tutti
insieme. Far sperimentare un momento di caos è un modo per far intendere loro
l’esigenza di rispettare i tempi e le parole altrui. I primi minuti di
discussione ordinata sono il primo successo. Poi viene la cooperazione: immagino
una scuola dove si discutono le esigenze e di conseguenza le regole. Tra le
prime cose che chiedevo ai miei bambini e che i maestri oggi chiedono ai loro è
di darsi da fare assieme per rendere la loro aula più accogliente: la si fa
bella con i contributi di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta. E’
il nostro antidoto contro il vandalismo”.
Il principio
funziona anche con le regole:“Quando l’io diventa noi, i cittadini dell’aula
hanno bisogno di darsi delle norme condivise, perché senza regnano caos e
prevaricazione: discutere insieme le regole, darsele democraticamente,
significa accettarle. Lo stesso vale per la valutazione: ci si autovaluta, con
un linguaggio che i bambini sappiano capire, nel rispetto dei tempi di tutti.
Non credo ai voti alle elementari: un bambino di quell’età non può essere
sintetizzato a numeri. So per esperienza che far leva sui progressi, sulla
soddisfazione, nell’apprendimento paga più della sottolineatura degli errori”.
I bambini prima di tutto
“Quando si ragiona
di cambiare la scuola”, continua Lodi “lo si fa sempre partendo da un’idea
astratta e quando si insegna si tende a farlo dall’alto. Invece io credo che si
impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino,
creando continuità con il suo apprendere prima della scuola. Perchè funzioni
serve una costante comunicazione con le famiglie, ma è meno difficile di come
sembra: se quel che si fa a scuola si traduce ogni 15 giorni in un giornalino
le informazioni passano”.
Nella scuola di
Mario Lodi il bambino sta al centro: “E invece spesso le esigenze degli alunni
sono l’ultimo pensiero”.
E’ un’idea di
scuola, ma di più una realtà, perchè Mario Lodi l’ha messa in pratica per una
vita. Dentro c’è un concetto di classe come “fare insieme” che don Lorenzo
Milani applicò a Barbiana.
E infatti le classi
di Lodi e Milani si scambiarono lettere per un po’:“Avevo scoperto un po’ per
caso che, a distanza, stavamo sperimentando cose simili e sono andato a
Barbiana a conoscerlo. Lì è nata la corrispondenza”.
Quando gli chiediamo
che ne pensa del maestro unico di cui tanto si discute Lodi risponde che: “Non
è fondamentale che siano uno o tanti, dipende tutto da come sono. Anche il
tempo pieno l’abbiamo inventato noi, a Barbiana e a Vho di Piadena, ma non è un
valore in sé, conta quel che ci metti dentro: se è un parcheggio non serve a
niente”.
Vengono in mente le
parole di don Milani: “Gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come
faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io
precisi per loro i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la
domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma
solo di come bisogna essere per fare scuola”.
Nessuno, né don
Milani che non c’è più da tanto tempo, né Mario Lodi che a 86 anni ancora
insegna delle cose, si è mai illuso che fosse facile tradurre in realtà gli
ideali. Ma non sembra una buona ragione per non provare.
Nessun commento:
Posta un commento