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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

giovedì 27 dicembre 2018

Luigi Ballerini : «Tra­smet­te­re ma non im­por­re»

Luigi Ballerini è medico psicanalista e scrittore: scrive da tempo libri per e sui ragazzi. Nei giorni scorsi è uscita una sua bella intervista (leggibile in originale qui www.sicilianpost.it) e che riportiamo sul nostro blog.

Non più sot­tra­zio­ne e lo­gi­ca del con­trol­lo: lo psi­ca­na­li­sta mi­la­ne­se, per en­tra­re in con­tat­to con la ge­ne­ra­zio­ne più sor­ve­glia­ta e, pa­ra­dos­sal­men­te, più sola di sem­pre, in­vi­ta i ge­ni­to­ri del­l’e­ra di­gi­ta­le ad es­se­re af­fi­da­ta­ri e ad «of­fri­re oc­ca­sio­ni di real­tà pia­ce­vo­le e vin­cen­te» 
«La no­stra gio­ven­tù ma il lus­so, è ma­le­du­ca­ta, si bur­la del­le au­to­ri­tà e non ha al­cun ri­spet­to de­gli an­zia­ni»; «Non c’è più al­cu­na spe­ran­za per l’av­ve­ni­re del no­stro pae­se se la gio­ven­tù di oggi pren­de­rà il po­te­re do­ma­ni»; «Il no­stro mon­do ha rag­giun­to uno sta­dio cri­ti­co, i ra­gaz­zi non ascol­ta­no più i loro ge­ni­to­ri»; «I gio­va­ni sono ma­li­gni e pi­gri, non sa­ran­no mai come la gio­ven­tù di una vol­ta». Sono le ama­rez­ze dei no­stri non­ni? Le la­men­te­le dei ’90 ai 2000? No, sono i rim­pro­ve­ri di So­cra­te, di Esio­do, di un sa­cer­do­te del­l’an­ti­co Egit­to e dei ba­bi­lo­ne­si: «Que­sto per dire che è 5 mila anni che i gio­va­ni non ci piac­cio­no. In­som­ma, poco di nuo­vo sot­to il sole». A par­la­re è il mi­la­ne­se Lui­gi Bal­le­ri­ni, psi­ca­na­li­sta e scrit­to­re per ra­gaz­zi mol­to av­vez­zo a trat­ta­re con loro. Cosa lo ha spin­to nel gior­no di San­t’Am­bro­gio, pre­zio­so per i lom­bar­di, a la­scia­re l’al­be­ro di Na­ta­le semi-sfat­to? La vo­ca­zio­ne da ge­ni­to­re che uni­ta a quel­la da psi­ca­na­li­sta fan­no la com­bo per­fet­ta. Nè di­no­sau­ri, né in­ge­nui. Edu­ca­re i fi­gli nel­l’e­ra di­gi­ta­le è il ti­to­lo, ispi­ra­to al suo omo­ni­mo li­bro edi­to da San pao­lo (il pri­mo di al­tri due che ve­dran­no la stam­pa il pros­si­mo anno), de­gli in­con­tri te­nu­ti al­l’I­sti­tu­to F. Ven­to­ri­no di Ca­ta­nia, uno con il fron­te edu­ca­ti­vo, l’al­tro, «quel­lo più bel­lo» ha det­to, con i ra­gaz­zi del ples­so.
IPOT­TY O MO­TO­RO­LA STAR­TAC? «Di­no­sau­ri e in­ge­nui sono due estre­mi di ge­ni­to­re ed edu­ca­to­re. Da una par­te il si sta­va me­glio pri­ma, che ral­len­ta l’in­gres­so del­la tec­no­lo­gia; dal­l’al­tra, chi dà in mano i suoi pro­dot­ti sen­za in­du­gi». Esem­pio del se­con­do caso è iPot­ty: un va­si­no per im­pa­ra­re a fare la cac­ca guar­dan­do l’i­Pad: «L’i­dea è: ti di­strag­go fa­cen­do­ti guar­da­re un car­to­ne, men­tre i più avan­za­ti fa­ran­no ve­de­re un vi­deo tu­to­rial». Per lo scrit­to­re dob­bia­mo ri­ve­de­re l’i­dea di di­stra­zio­ne: «Il bam­bi­no sta fa­cen­do un gran la­vo­ro di sco­per­ta del suo cor­po e noi lo di­stra­ia­mo?». Lo stes­so ef­fet­to baby-sit­ter (com’e­ra la tv) è uti­liz­za­to quan­do si è in mac­chi­na o quan­do si aspet­ta al ri­sto­ran­te da ge­ni­to­ri che anni dopo non rie­sco­no a di­sto­glier­li da uno scher­mo: «Ma chi è che li ha istrui­ti a pas­sa­re così il tem­po li­be­ro?». Esem­pio di di­no­sau­ro è in­ve­ce la mam­ma di un ra­gaz­zo che un gior­no è ve­nu­ta a tro­va­re Bal­le­ri­ni in stu­dio: dopo su­da­te sup­pli­che gli ave­va pro­mes­so il te­le­fo­no per Na­ta­le del­la ter­za me­dia. «A gen­na­io lo ri­ve­do: Mo­to­ro­la Star­tac e mu­so­ne». 
FRA CON­TROL­LO E AB­BAN­DO­NO. Il caso di que­sta mam­ma (più sa­di­ca che di­no­sau­ro) non è ati­pi­co: «Mol­ti ge­ni­to­ri sono con­vin­ti di con­trol­la­re i fi­gli to­glien­do le sim, ma non ca­pi­sco­no che que­sti si di­se­gna­no map­pe dei Wi-Fi del­la cit­tà». Allo stes­so modo, «sono 5 mi­lio­ni gli ado­le­scen­ti ita­lia­ni su Tik Tok, mol­ti del­le me­die. Noi non sap­pia­mo man­co cosa sia e stia­mo a di­scu­te­re del per­mes­so per Fa­ce­book». Per non par­la­re del­le se­rie tv come The End of the F***ing World: «Epi­so­di di 21 mi­nu­ti, il tem­po di an­da­re a scuo­la e del­la ri­crea­zio­ne, sen­za che i ge­ni­to­ri se ne ac­cor­ga­no». Che si­gni­fi­ca tut­to que­sto? «Che la lo­gi­ca del con­trol­lo tie­ne fino a un po’, non ba­sta». Per Bal­le­ri­ni «il pa­ra­dos­so del­la ge­ne­ra­zio­ne di ora è che è la più con­trol­la­ta e la più ab­ban­do­na­ta. Pen­sa­te cosa suc­ce­de se per mez­z’o­ra il fi­glio non si fa sen­ti­re o non si col­le­ga».
OC­CA­SIO­NI DI OF­FRI­RE. Che fare al­lo­ra? È fi­ni­to il tem­po del­l’e­du­ca­zio­ne-sot­tra­zio­ne: «Qual è il nes­so fra far­mi ve­ni­re vo­glia di stu­dia­re in­gle­se e non man­dar­mi a cal­cio? In cam­po im­pa­ro ad es­se­re ge­ne­ro­so, lea­le, ap­pren­do il va­lo­re del­la fa­ti­ca. Per­ché dob­bia­mo to­glier­lo?» Bal­le­ri­ni se lo chie­de e lo chie­de ai pre­sen­ti con un bril­lan­te espe­dien­te dia­lo­gi­co: quan­do par­la dei bam­bi­ni e dei ra­gaz­zi usa la pri­ma per­so­na, per aiu­tar­ci a ri­cor­da­re che si­gni­fi­ca es­se­re pic­co­li. Vale an­che per Fort­ni­te e si­mi­li: «Il pro­ble­ma è quan­do i vi­deo­gio­chi mi man­gia­no la real­tà e ini­zio a non usci­re. E per­ché suc­ce­de? Più gio­co più di­ven­to bra­vo, più mi sen­to bra­vo. Dal­l’al­tra par­te vedo in­ve­ce una real­tà dif­fi­ci­le. Qua­le è più pro­ba­bi­le che io scel­ga?». Dob­bia­mo ren­de­re la real­tà ma­sti­ca­bi­le. «Al­tro che to­glie­re: bi­so­gna of­fri­re oc­ca­sio­ni di real­tà vin­cen­te, pia­ce­vo­le e in­te­res­san­te». E per far­lo vie­ne chie­sto ai ge­ni­to­ri di es­se­re meno spa­ven­ta­ti e meno soli: «Apri­re le case, co­no­scer­si fra loro, in­vi­ta­re i fi­gli de­gli al­tri, fa­vo­ren­do la co­no­scen­za di real­tà di­ver­se». Così si cre­sce con ra­gaz­zi ca­pa­ci di af­fron­ta­re uma­na­men­te rete e di­gi­ta­le.
GE­NI­TO­RI AF­FI­DA­TA­RI. «E vie­ni qua, dam­mi un ba­cio, ma come sei di­ven­ta­to scon­tro­so! Dob­bia­mo ri­spet­ta­re le loro ri­chie­ste di pu­do­re». E ag­giun­ge: «Ecco, que­sto è il mo­men­to più de­si­de­ra­bi­le, quan­do non ci fan­no più quei la­vo­ret­ti or­ri­bi­li di Na­ta­le col ro­to­lo del­la car­ta igie­ni­ca. Non c’è cosa più bel­la che go­de­re del­lo spet­ta­co­lo di ve­der­li vi­ve­re la loro vita». L’in­vi­to al­lo­ra è a sco­prir­ci ge­ni­to­ri af­fi­da­ta­ri. «I ge­ni­to­ri af­fi­da­ta­ri ac­com­pa­gna­no i fi­gli per un tem­po, quel­lo ne­ces­sa­rio, fin quan­do non cam­mi­na­no da uo­mi­ni e da don­ne li­be­ri nel mon­do con il ba­ga­glio che ab­bia­mo loro pre­pa­ra­to ma che scel­go­no loro di met­te­re in spal­la. Tra­smet­te­re non è im­por­re. E l’af­fi­do che va bene non di­ven­ta ado­zio­ne». 

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