Nei giorni scorsi è stato pubblicato su Rai News un interessante articolo sull'educazione dei "millenials" nell'epoca degli smartphone e di Papa Francesco. L'aritcolo contiene una bella intervista a Pierluigi Bartoleomei che riportiamo.
Per leggere l'articolo originale: rainews.it - Educare i Millennials....
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Papa Francesco
ci ricorda nel documento sulla Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali
che “La famiglia è, più di ogni altro, il luogo in cui si sperimentano i limiti
propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell’andare
d’accordo. È il primo luogo dove impariamo a comunicare…abbracciatevi,
sostenetevi, accompagnate chi vi sta accanto, decifrate i suoi sguardi e i suoi
silenzi, condividete il pianto e la gioia, tra persone che non si sono scelte,
ma tuttavia così importanti l’una per l’altra. Ridurre le distanze, venendosi
incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia”.
Ricorda il
Vescovo di Roma che non esiste la famiglia perfetta. Ma non bisogna avere paura
dell’imperfezione, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in
maniera costruttiva”. Quindi la comunicazione deve essere al servizio di
un’autentica cultura dell’incontro. La sfida che oggi ci si presenta è
reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione.
Abbiamo
incontrato il Direttore Generale della scuola di formazione Elis di Roma
Pierluigi Bartolomei, conosciuto dai suoi circa 1500 ragazzi come il preside di
“frontiera”. Felicemente sposato, con 5 figli è anche docente di Comunicazione
e Public Speaking, con un passato da aspirante attore cinematografico e una
forte passione per il teatro specialmente per il cabaret.
Professor
Bartolomei, come ci dobbiamo comportare con i nostri figli davanti a questa
rivoluzione tecnologica?
Lo sviluppo
tecnologico è un processo irreversibile. La metafora uomo- cavallo-spada, che
in qualche modo difende i confini, è superata dalla metafora uomo-
tastiera-schermo. Ormai la scacchiera sulla quale ciascuno di noi gioca le
proprie mosse è una scacchiera di cui non si conoscono i confini. Una volta
quando si educava, avevamo la certezza di conoscere la scacchiera e la
vedevamo, e avevamo ogni giorno chiare quali erano le mosse che avremmo fatto
quella mattina. Oggi non è più cosi, siamo davanti a una rivoluzione che
cambierà la nostra vita. E pensare che fra poco avremo il gemello digitale,
dove potremo clonarci…2, 3, 4, 5 volte, e fare cose per noi mentre dormiamo.
Ma questo
cambiamento sembra preoccupare molto i genitori…
Il nostro
cervello si adatta poco al cambiamento, il cervello ne ha paura, è un agire
molto umano, ma è l’unica vera garanzia che metterà sempre sul piatto della
bilancia ciò che realmente siamo… umani. Ora se questo è lo scenario, oggi più
che mai le parole di Papa Francesco, di mettere al centro di ogni impresa umana
l’uomo, sono fondamentali. Quello che dovremo fare con i nostri figli è dare in
eredità la nostra testimonianza, dare il nostro esempio di vita che sia
coerente con i nostri valori: se questo è valido non bisogna parlare con i
figli. Per esperienza pratica, si riesce poco, tanto più in età adolescenziale,
i figli non ascoltano più e non hanno desiderio di ascoltare una persona che è
del ‘900. Quindi non possono riconoscersi in quello che diciamo. Una
testimonianza vera, però, generatrice, fa sì che il figlio segua le orme del
padre.
E quindi?
A questo punto
scattano i valori che hai seminato durante gli anni di apprendimento,
l’approccio con la tecnologia va fatta, l’unica cosa è aiutarli a essere se
stessi, ad approcciarsi alla rete con i valori che nascono da quella
testimonianza di cui parlavamo prima. E utilizzeranno la rete cosi come loro
desiderano, con il loro essere persone. Diversamente si farebbero appiattire,
fagocitare dalla rete, e i risultati diventerebbero imprevedibili. Invece
devono arrivare a discernere.
Come possiamo
rendere attraente il concetto di famiglia per i nostri figli?
Nell’ educazione
dei figli ci sono tre parole che sono fondamentali… “Fateli crepare d’invidia!”
Mi scusi, in
che senso?
Significa che
loro nascano e crescano in una famiglia da cui sono fortemente attratti, andare
d’accordo con la moglie, con il marito, che a volte bisticciano, ma che nel
profondo vanno d’accordo e poi fanno pace…questo è un esempio. I genitori
devono condurre una vita che sia attrattiva per i propri figli, bombardarli il
meno possibile, vivere le sconfitte insieme, ma rialzandosi. Anche la fede può
essere odorata all’interno della famiglia, l’unico posto dove si può
rigenerare, in piena libertà, senza imporre nulla. Far diventare la nostra casa
un focolare luminoso, allegro. Ma poi lasciarli liberi nelle loro scelte.
Quindi evitate di essere autoritari, punitori, proibizionisti, di dare comandi,
input…Cerchiamo di evitare le frasi fatte come ‘Fai come ti dico io!’…oppure
‘Tu devi essere come me! Guarda tuo padre’. Tutto questo rende per niente
attrattivo il concetto di famiglia.
Secondo Lei
quali sono le grandi sfide educative?
È quello di
attrarli all’istruzione. L'Italia è, dalle ultimi indagini OCSE-PISA, il
penultimo paese in Europa come capacità di comprensione del testo, capacità di
logica e matematica, questo significa che le persone non sono più attratte
dalla cultura, dall’arte, dai filosofi, dai grandi pensatori. Don Milani, 60
anni fa andava nelle campagne strappando i figli ai contadini e supplicandoli
di farli studiare, nonostante li avessero messi al mondo per lavorare la terra.
Lui si arrabbiava molto, perché i genitori non potevano sottrarre i figli da un
loro diritto, il diritto di essere istruiti, perché il non studiare rende
infelici, delle nullità assolute, per cui li portava in canonica e insegnava
loro a leggere e scrivere. Quello che voglio dire è che dovremmo avere dei
grandi testimoni del desiderio, con degli educatori che abbiano la vocazione
vera a servire e con dei genitori che si sentano la responsabilità di questa
funzione educativa e che studino, migliorino da un punto di vista educativo, la
loro performance da padre, da genitore.
Cioè?
I ragazzi non
possono venire a scuola in maniera ‘stitica’, perché forzati, solo per volontà,
ma devono trovare delle persone che in qualche modo trasformino quel libro,
quel sapere, in un corpo…perché quella materia possa essere desiderata, ad
esempio quando gli alunni, nonostante il suono della campanella che segna la
fine dell’ora, chiedono al professore di continuare la sua lezione, perché è
bella! Se c’è questa dimensione forte con il sapere, con l’istruzione, con la
conoscenza, allora effettivamente la scuola non ha bisogno di un palazzo, ma
può essere fatta in qualsiasi parte. L’altra sfida sta nella famiglia, perché
se io do un luogo alla cultura, e poi manca il luogo della dimensione affettiva
forte, che sostiene, che dà coraggio, che aiuti a crescere, i nostri ragazzi
vivranno in maniera provvisoria, di rapporti provvisori, all’avventura, alla
giornata. Quindi queste due cellule devono funzionare, prendendosi le loro
responsabilità, nella libertà. Scuola e famiglia non esistono l’una senza
l’altra.
Quale proposito
noi genitori possiamo mettere sotto l’albero?
Gli adulti in
questa fase storica stanno facendo molto poco, sono presi da questa
‘professionite’. Se un genitore passa dodici ore nel suo ufficio, perché è
innamorato dell’ultima ‘pratica’, evitando di tornare a casa perché deve lì
affrontare altre pratiche, forse più impegnative; se un padre non è presente
alla recita di suo figlio, anche se ricopre un ruolo marginale, quello che
spicca nel giovane è l’assenza del padre, o della madre. Se un padre o una
madre non riconoscono in ciascuno dei loro figli un talento, com’è nella natura
di ciascuno di noi, se non lo amano così com’è, se ne mortificano la
performance scolastiche, tutto questo non dà senso alla vita di un figlio ed
equivale a dire ‘non ne vale la pena’.
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