«Dietro la bellezza c’è tanto lavoro», dice a un certo punto il piccolo Auggie Pullman, il bambino protagonista di "Wonder" di Stephen Chbosky: uno di quei film per ragazzi che fanno tanto bene anche ai grandi. Insomma un film da guardare insieme in famiglia, e magari parlarne insieme
Anche perchè c’è un lavoro di gruppo anche dietro la commovente bellezza di
Auggie, dietro l’equilibrio tra la forza e la tenerezza di questo
ragazzino segnato dalle difficoltà e dalla sofferenza. Ci sono relazioni
umane sane dietro i suoi dieci anni di resilienza alimentata con la
fantasia e il pensiero magico. C’è un grande amore di partenza dietro la
maturata saggezza di questo bimbo, nato con una grave anomalia cranico-facciale.
Ci sono una madre che ha messo da parte, a tempo indeterminato, i
suoi progetti professionali per stare accanto al figlio, un padre
attento e presente col sorriso e con l’ascolto, una sorella che ha
accettato di concedere precedenza
affettiva al fratellino così esposto alla fatica, e anche al dolore.
Auggie non è andato a scuola, fino ad oggi, per le
tante operazioni subite e per la paura dei genitori di gettarlo dentro
la superficialità e l’egoismo del mondo. Mamma Isabel (Julia Roberts) gli ha fatto da maestra a domicilio, ma ora, all’alba dell’adolescenza, è arrivato per Auggie il tempo di lasciare il porto, per evitare il naufragio più terribile: quello di rimanerci chiuso a vita.
Via l’amato casco da astronauta: prezioso nascondiglio, ma anche potenziale pericolosa prigione. La luce e il buio delle relazioni umane sono lì ad attendere il ragazzo,
spaurito, forse non quanto suo papà e sua mamma. Davanti a lui la
scuola: microcosmo popolato da comportamenti ed emozioni da ripudiare
oppure da imitare, da fuggire oppure da abbracciare felicemente.
Impossibili da schivare, in ogni caso, e infatti Auggie assaggia la
violenza di chi adopera la diversità per sfogare il proprio disagio (...bullismo) ed esulta per la dolcezza di chi
accoglie la differenza e la fragilità dell’altro, per esaltare la
propria sensibilità e incontrare una gran pace.
La scuola di Wonder
funziona eccome: Auggie riesce prima a scoprire e poi ad esprimere la
sua bellezza, o forse prima a vivere e quindi a prendere coscienza dei
suoi grandi doni, finendo per irradiare fiducia, e appunto bellezza, in
chiunque incontri.
«La grandezza non risiede nell’essere forti, ma nel
buon uso della forza», spiega un preside eccezionale descrivendo Auggie,
il cui viso a prima vista rapisce tutti, come dice lui stesso: «gli
altri mi fissano senza dire nulla»; ma quando fiorisce una relazione,
quel viso irregolare e segnato da lunghe cicatrici quasi scompare,
diventa dettaglio tra le tante facce interiori di Auggie.
Emergono i lineamenti morbidi della sua anima: intelligenza, simpatia, passione per la scienza, voglia di vivere
e socializzare, di giocare normalmente. Un cuore speciale, il suo, e
insieme cosi uguale a quello di chi voglia cogliere la più profonda
gioia dello stare al mondo: amare e essere amati. Tra le parole chiave
di Wonder – tratto dall'omonimo romanzo di R. J. Palacio
– spunta il termine gentilezza. «Se potete scegliere tra l’essere
giusti e l’essere gentili siate gentili» spiega l'insegnante alla classe.
Forse perché giustizia è una parola importantissima, ma anche fredda,
che non danza con il vocabolo umanità, mentre gentilezza è una parola
calda, di relazione, di attenzione all’altro, di offerta e gratuità. Da
quella lezione, una bambina indecisa su che strada prendere, la piccola
Summer, sorride e prende la rincorsa verso un nuovo amico: quell’Auggie
facilmente falciato dalle parole sbagliate che anche ai giusti possono
scappare – per la superficialità di cui tutti cadiamo vittime -, ma capace di rialzarsi e meravigliarsi ogni volta nuovamente, contagiando il prossimo fino ad allargare le sue mappe mentali, ampliando il suo orizzonte.
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