Aiutare i figli a fare i compiti o correggerli è controproducente, lo sostengono i pedagogisti da tempo e adesso lo conferma uno studio americano.
Trascorrere le serate a finire, completare, correggere i compiti dei figli è controproducente sotto vari punti di vista. Lo sostengono i pedagogisti da tempo e adesso lo conferma anche uno studio americano, da poco pubblicato, secondo cui l’intervento dei genitori nelle attività scolastiche è nella maggior parte dei casi semplicemente inutile, in altri addirittura dannoso.
Gli studiosi hanno analizzato diversi casi in cui i genitori si inseriscono nel percorso scolastico dei figli (non solo i compiti per casa, ma la scelta del liceo, le attività extra scolastiche, i rapporti con i professori e con gli amici) e i risultati delle loro ricerche confermano che i genitori più interventisti non hanno accresciuto il successo accademico dei figli, anzi in diversi casi lo hanno involontariamente ostacolato.
Sulla rivista pediatrica UPPA , il pedagogista Daniele Novara scrive: “I nostri figli hanno i compiti da fare, e, punto molto importante, li devono fare loro… Se un senso i compiti ce l’hanno è quello di aiutare a consolidare degli apprendimenti, stimolare autodisciplina e responsabilizzazione, e l’intervento continuo dei genitori da questo punto di vista ha molteplici svantaggi”.
L’esperto sottolinea che intervenendo non solo si impedisce ai bimbi innanzitutto di trarre beneficio dagli esercizi, quindi di imparare quello che il programma scolastico propone, ma si limita anche la loro possibilità di mettersi alla prova, di imparare dagli errori, di sviluppare la capacità di impegnarsi, di accettare la fatica.
Se il dubbio di un genitore è che la mole di lavoro sia troppa (anche se non è facile capire quale sia il ‘giusto’) ne deve parlare con l’insegnante, non assolvere i doveri del figlio o esplicitare riserve sui compiti per casa davanti a lui. “È importante accettare la realtà dei compiti e la necessità dell’impegno personale che richiedono. Certo, si fa fatica!”, continua il pedagogista affermando che nella nostra società, tutta immagini e velocità, approcciarsi ai libri, alle richieste di impegno, allo studio, appare difficile ad un ragazzo che è immerso nella cultura del web , del tablet, dello smartphone che dà sempre la risposta giusta alla velocità della luce.
E’ proprio il compito dei genitori “legittimare l’importanza dell’impegno”. Monitorare va bene, aiutare un po’ meno se significa ‘risolvere’ i quesiti: se ci si accorge che il bimbo non capisce qualcosa, lo si deve invitare a rivedere la regola o la lezione, non suggerirgli la risposta esatta. Nemmeno la correzione a fine compiti è particolarmente utile: è la maestra, nel contesto scolastico, che troverà gli errori, li correggerà, e provvederà, se necessario, a rispiegare quello che non è stato compreso. La funzione dei compiti non è solo consolidare l’apprendimento ma anche favorire la capacità di impegnarsi del bambino.
L’aiuto che può dare la mamma è utile se ‘organizzativo’, nel decidere un orario da rispettare, assicurarsi che il bimbo abbia dormito abbastanza, che goda di un ambiente tranquillo, ben illuminato e privo di distrazioni (cellulare, tv e dispositivi vari), nel fargli fare pause rilassanti, nell’invitare qualche volta gli amici a studiare insieme perché anche fare i compiti abbia un risvolto divertente (“Le ultime scoperte neuroscientifiche, in particolare lo studio sui neuroni specchio, hanno messo in evidenza il ruolo fondamentale dell’attivazione reciproca e dell’imitazione nel favorire e stimolare i processi di apprendimento” scrive Novara). E soprattutto senza criticare, correggere ma premiando i successi e gratificando l’impegno.
Articolo originale leggibile su : dilei.it
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