Pubblichiamo
qui un estratto dell'importante relazione tenuta dal Prof. Duccio Demetrio nel
corso del convegno "Educare a una nuova Umanità, dialogo e confronto con
le prospettive antropologiche della cultura contemporanea" Molfetta, 27
febbraio 2015.
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“Oggi
ci sono culture contemporanee, mai una sola cultura. Ci sono le molte culture,
ci sono i conflitti fra le diverse culture, culture all’interno del nostro
mondo, culture che appartengono ai mondi più diversi, i conflitti stanno
raggiungendo livelli assolutamente drammatici e di guardia e anche questo
rapporto, quindi al plurale, con le culture, non può essere indifferente
rispetto ai problemi, alle problematiche educative.
Qui
in Puglia so che, anche tra i colleghi universitari della vostra Regione, c’è
sempre stata una grande attenzione al discorso dell’incontro tra culture, tra
lingue, tra diversità. E questo costituisce già un motivo, forse il primo che
sto pronunciando, di grande comunanza, di grande interesse reciproco, per
l’aiuto che possiamo fornire a chi è approdato sulle nostre terre e continua,
angosciantemente, ad approdarvi.
Ma
la nostra possibile interazione di idee, di pratiche, di gesti e di atti, si
sperimenta anche qui ! Si sperimenta soprattutto qui, venendo incontro alle
solitudini, alla perdita di identità, allo sradicamento, alla morte possibile.
Ecco innanzitutto quindi il “plurale”.
Ed
educare però anche ad una umanità nuova significa, a mio dire, domandarsi a
quali umanità importanti, a quali umanesimi importanti, dobbiamo fare
riferimento; non solo in una visione verso il futuro, verso il possibile ma in
rapporto alle umanità che ci hanno anche preceduto, alle umanità che hanno
lasciato messaggi e princìpi e valori che dobbiamo forse riprendere e
riproporre senza timore del vecchio, talvolta anche dell’antico; e quindi
guardare verso una umanità nuova significa non voler dimenticare. Recentemente
ho letto, con grande interesse, un articolo di Jean-Louis Bruguès , apparso su
“Vita e pensiero”, rivista dell’Università Cattolica, dal titolo “Il valore
della memoria nel messaggio cristiano”.
Mi
ha molto colpito.
Leggo
soltanto un frammento per tentare di spiegare meglio cosa intendo per “cruciale
relazione col passato e con la memoria”. Io so che per i credenti il rapporto
con la memoria è un rapporto fondamentale, è un rapporto che mette in evidenza
quel messaggio straordinario: agite in memoria di me! Cosa sostiene questo
studioso? «È dunque evidente che l’atto del ricordare ricopre una doppia
funzione. Da una parte permette di accedere all’identità, e in questo caso
all’identità di Dio, ma il dato vale anche per gli essere umani. Se non conosco
il mio interlocutore, gli domando di ricordarmi fatti passati, le circostanze
dell’incontro precedente che mi permettano di collocarlo e identificarlo.
D’altro canto l’atto del ricordare istituisce un patto di reciproca fiducia. È
proprio perché Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto che il
popolo può dar credito alle sue richieste, alle sue promesse. Ma questa
osservazione ha valore anche per la vita sociale. È proprio perché conservo la
memoria della benevolenza ricevuta da qualcuno che mi posso fidare di lui».
Ecco,
oggi forse per molti la memoria è una moneta che non vale nulla, che si tratta
di spendere subito, nel presente. Io credo che tra un pensiero laico e non
credente consapevole ed un pensiero religioso, la memoria invece possa
costituire uno dei momenti più alti, più importanti, non tanto di difesa del
vecchio, di ciò che è inesorabilmente, anche per nostra fortuna, divenuto ormai
obsolescente; ma c’è una memoria che fertilizza il presente, che fertilizza il
nuovo. Ecco questo è un aspetto che voglio richiamare perché indubbiamente si
ricollega al tema dell’educazione. Non possiamo pretendere di educare
astenendoci dal riproporre ciò che è stata la storia; la storia non soltanto
nella sua vastità e complessità, ma la storia individuale, la storia personale.
Oggi il grande interesse che va suscitando un argomento del quale mi occupo da
una decina di anni, che è l’argomento della soggettività autobiografica,
rappresenta, dicevo, un interesse anche tra i più giovani, a mio parere molto
incoraggiante. Perché scrittura autobiografica non significa soltanto abbandono
al proprio narcisismo, al proprio edonismo.
Scrittura
autobiografica vuol dire avere il coraggio di guardare qual’è stata la propria
storia, quali memorie portiamo dentro di noi e che cosa è bene ed è necessario
non obliare, non dimenticare, per diventare quindi di nuovo protagonisti di una
propria soggettività che può essere stata ferita e offesa”
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Duccio
Demetrio insegna Filosofia dell'educazione all'Università degli Studi di Milano
Bicocca. Direttore della rivista Adultità, è fondatore della LIbera Università
dell'Autobiografia di Anghiari e della Società di Pedagogia e didattica della
scrittura. Ha pubblicato, fra l'altro, Raccontarsi (1996), Elogio
dell'immaturità (1998), Autoanalisi per non pazienti (2003), Filosofia del
camminare (2005), La vita schiva (2007).
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