Quale genitore non si rende disponibile ad aiutare
i propri figli a fare i compiti? Soprattutto quando c’è l’incubo delle prove
Invalsi. Che si tratti di terza elementare o scuola media, mamma e papà si
fanno in quattro per dare assistenza ai ragazzi che studiano. E, infatti, madri
e padri sono sfiniti e si sfogano nei gruppi Whats Aapp lamentandosi tra loro.
Ma è una scelta giusta? Sembrerebbe proprio di no. Anzi, le ultime ricerche
condotte presso le Università della Finlandia orientale e di Jyväskylä dicono
che aiutare troppo i figli nuoce al loro sviluppo. Al contrario, renderli
autonomi - anche a costo di qualche errore - li fa diventare più tenaci.
Questione di
fiducia
Nell'ambito della ricerca sono stati presi in
considerazione i bimbi che frequentano la primaria dal secondo al quarto anno.
Più le mamme davano ai figli opportunità per lavorare da soli per i compiti a
casa, più il bambino diventava tenace per raggiungere il risultato. "Una
possibile spiegazione è legata al fatto che quando la madre dà al bambino
l'opportunità di fare i compiti autonomamente, la mamma invia anche un
messaggio a dimostrazione che crede nelle sue capacità", spiega Jaana
Viljaranta, docente dell'Università della Finlandia orientale.
Genitori
spazzaneve
Al contrario, invece, un'assistenza concreta per i
compiti da fare casa (specialmente se non è richiesta dal bambino) può inviare
il messaggio opposto, cioè che la madre non crede nella capacità del figlio di
fare i compiti. “Il modello – conferma Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età
evolutiva presso il Dipartimento di Scienze Bio-mediche dell’Università degli
Studi di Milano- è quello del genitore
spazzaneve che invece di stare al fianco del figlio gli si mette davanti.
Insomma, guidato dall’ansia di sostenere la crescita dei figli quasi si
sostituisce a loro. Invece, l’ingresso a scuola dei bambini dovrebbe vedere
l’adulto come un allenatore che lo conduce lungo il percorso e non come colui
che ha la sola priorità di raggiungere l’obiettivo”.
Autonomia e
valore degli errori
Quali conseguenze ha sui bambini
quest’atteggiamento da mamma o papà chioccia? “Succede che anziché abituarsi a
gestire i compiti in autonomia e a conquistare man mano i loro spazi – prosegue
l’esperto - aumentano tantissimo le funzioni di delega”. Insomma, è come se i
figli si aspettassero che il genitore gli mettesse a disposizione le proprie
competenze. L’altra conseguenza riguarda l’ansia da prestazione: “I genitori di
oggi – prosegue Pellai che è anche autore, insieme a Barbara Tamborini, del libro
‘Il metodo famiglia felice. Come allenare i figli alla vita’ (Edito da DeA De
Agostini) – fanno un monitoraggio costante dei compiti perché deve essere tutto
perfetto e senza sbavature mentre dovrebbero stare due passi indietro e
soprattutto tollerare l’imperfezione e l’errore che sono tipici dell’età
evolutiva e che permettono al bambino di crescere”.
L'ansia da
prestazione dei propri figli
Questa eccessiva presenza del genitore come
guardiano scolastico comunica ai figli la mancanza di fiducia nei loro confronti
e nella loro capacità di farcela da soli. Che a sua volta genera una dipendenza
costante ma anche il timore di sbagliare: “I bambini spesso temono molto di più
la verifica da parte dei genitori piuttosto che quella degli insegnanti –
spiega Pellai. Questo genera negli adolescenti un’epidemia di ansia da
prestazione spaventosa”.
L'aiuto:
solo su richiesta e nel modo giusto
Insomma, i genitori devono farsi un po’ da parte.
Ma come si fa a tornare indietro se fino ad oggi siamo stati ‘genitori spazzaneve’?
“Riprogrammando tutto insieme agli insegnanti per capire da loro di cosa ha
bisogno il bambino e come è meglio comportarsi perché in questi casi il miglior
consulente è l’insegnante” suggerisce Pellai. Insomma, i genitori non devono
più entrare nella vita scolastica del figlio e devono smettere di stargli con
il fiato sul collo.
Come tenerli
inchiodati alla sedia
Il fatto è che i nostri ragazzi hanno tutti una
gran fretta di finire i compiti per correre a giocare con la Playstation o
tuffarsi nella rete con i vari dispositivi elettronici. Insomma, l’unica ansia
che hanno è quella di finire presto per fare altro. Ma non è certo
sostituendosi a loro che gli si insegna la responsabilità. Anzi. “Se siamo
troppo presenti – fa notare lo psicoterapeuta – non li aiutiamo ad allenare le
loro capacità di apprendimento e di concentrazione”. Piuttosto meglio fare
degli interventi che servono a disciplinare il tempo che dedicano allo studio
in modo che non abbiano distrazioni: “Per esempio, il genitore stabilisce che
debba fare due sessioni di studio da 20 minuti ciascuna. Il suo ruolo, allora,
deve essere solo quello di regolare il tempo, cioè deve comportarsi come
l’allenatore che resta a bordo pista”. Guai, però, a correggergli i compiti:
bisogna lasciarli così come li ha svolti, anche se ci sono errori. Lo studio
dell’orale? “Va bene farsi ripetere storia e geografia, ma senza commentare in
modo che il bambino impari ad ascoltarsi da solo”.
Cosa fare se
chiedono aiuto
Ma come comportarsi se sono i figli a chiedere il
nostro aiuto perché, per esempio, non hanno capito qualcosa? Dobbiamo negargli
l’aiuto? “Verifichiamo cosa sta chiedendo – avverte Pellai. Se si tratta di
qualcosa che non ha capito, allora lo aiutiamo spiegandogli l’argomento ma
lasciando che faccia da solo il compito assegnato. Se, invece, la richiesta è
proprio quella di fare i compiti al suo posto perché non si sente motivato,
allora non bisogna aiutarlo ma spronarlo a fare da solo”.
Articolo estratto da Repubblica 21 maggio 2018 qui originale
Ascolta Alberto pellai su Radio24 del 25 maggio 2018 qui
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