Alessandro D'Avenia |
Il Professor Alesandro D'Avenia ogni lunedì su "Corriere della Sera" si occupa "della cruenta e quotidiana battaglia
tra attese e pretese degli adulti e corpi e anime di apparentemente
irraggiungibili adolescenti". E lunedi 26 marzo il titolo dell'intervento era "Non farò mai l'insegnante": è tutto da leggere, ma noi abbiamo estratto la parte che riguarda l'unicità e preziosità della persona
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L'intervento completo lo puoi leggere qui
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Guardate la vita contenuta nella vostra mano:
le linee sul palmo e le impronte digitali con le quali il vostro
cellulare vi riconosce, sono le stesse che avevate a neanche un mese dal
vostro concepimento. Fu osservando al microscopio questi solchi, che a
metà del secolo scorso Jerome Lejeune scoprì la causa genetica della
sindrome di Down. Lo scienziato amava dire che già nello zigote, la
cellula frutto dell’unione di spermatozoo e ovulo, era contenuta la
profezia di una vita intera: il genoma, il corredo cromosomico per metà
materno e per metà paterno, equivale a un libro inedito di oltre 3
miliardi di lettere scritto nel nucleo di una cellula di 0,1 millimetri.
Un messaggio, unico e irripetibile, che si sviluppa e specifica
gradualmente in un essere altrettanto unico e irripetibile, la cui vita
cresce solo se ne viene curata e rispettata l’originalità. L’alternativa
è infatti la morte fisica o spirituale, come mostrano le parole scelte
da Vasilij Grossman all’inizio del suo capolavoro, «Vita e destino», per
descrivere l’uniformità dei campi di concentramento: «La ferocia
disumana dell’enorme lager si esprimeva nella regolarità perfetta. Le
izbe russe sono milioni, ma non possono essercene — e non ce ne sono —
due perfettamente identiche. Ciò che è vivo è irripetibile. Due uomini,
due cespugli di rose selvatiche, non possono essere uguali. E dove la
violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne».
Jerome Lejeune |
In modo diverso scienza, letteratura e storia ci mostrano che l’esistenza è posta sotto il segno dell’unicità e qualsiasi struttura umana ignori o annulli tale segno spegne la vita: per questo conformismo e totalitarismo sono gemelli, il primo costringe a fare ciò che gli altri fanno, il secondo ciò che gli altri vogliono. Sono disumani tutti i sistemi che ostacolano la pluralità necessaria per vivere la propria libera e autentica dimensione sociale, in cui ciascuno dà agli altri quello che è e riceve dagli altri quello che non è, come accade in un’orchestra, in una squadra, perché il timbro di ogni singolo strumento o il ruolo occupato in campo sono necessari all’armonia totale. Il nostro sistema scolastico tende a ignorare e persino ostacolare l’unicità, per questo spesso produce insegnanti e alunni frustrati. Che cosa avvelena un mestiere così bello e la naturale predisposizione dell’uomo alla conoscenza? Il fatto che docente e studente vengono inseriti in una catena di montaggio da cui escono sfiniti più che finiti, perché trattati da oggetti anonimi e non da soggetti di possibilità irripetibili.
Vasilij Grossman |
Basta correggere i compiti degli studenti per scorgere una potenziale orchestra o squadra:
la loro grafia in cerca di se stessa, ora illeggibile, ora elegante, è
il segno evidente di un rapporto unico con la realtà. Stanno elaborando
la loro presa di posizione di fronte al mondo, possibile solo grazie
alla scoperta, conoscenza, accettazione della propria unicità. Per
essere originali bisogna essere originari, questo vuol dire che nel
periodo di formazione è fondamentale che gli educatori per primi siano
consapevoli della propria unicità. Noi insegnanti siamo direttori
d’orchestra o allenatori, abbiamo a che fare con vite irripetibili a cui
affidare la sinfonia o la partita. Eppure nei nostri registri mancano
spazi per descrivere i talenti di un ragazzo. I consigli di classe si
riducono alla condivisione di voti e fatti spiacevoli di condotta. Se un
ragazzo assistesse al momento in cui parliamo di lui durante un
consiglio, che cosa scoprirebbe di sé? Si sentirebbe riconosciuto, tra
punti forti e deboli, come portatore unico di qualcosa di nuovo? I
collegi docenti diventano spesso dibattiti burocratici più che
educativi. Negli scorsi anni abbiamo dovuto seguire corsi sulla
sicurezza, e mi sembra opportuno, ma io vorrei essere obbligato anche a
formarmi su come si scoprono i talenti dei ragazzi, sul mondo del lavoro
di oggi e di domani, per orientarli in un presente che sta subendo una
trasformazione senza precedenti. Quando sento dire, da chi in classe non
entra, che l’uso del cellulare in aula è un toccasana per
l’apprendimento ho la conferma dell’assenza di un progetto adeguato alle
esigenze reali degli studenti, a cui invece servirebbe imparare come
funzionano i linguaggi di programmazione che permettono alle app di
funzionare, agli algoritmi di profilarci, proprio grazie a quel
cellulare. Un sistema che non valorizza i docenti si merita una scuola
che spegne la vita e che, invece di affrontare il mondo, lo ignora o vi
si adegua.
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