Il tema dell'educazione e del rapporto genitori-figli sono sempre stati a cuore del Santo Padre. E così, l'inaugurazione del convegno pastorale diocesano (Roma, 19 giugno 2017) Papa Francesco ha parlato di adolescenza, geniotri ed educazione. RIportiamo qui la sola parte centrale di suo interesante intervento, che è possibile leggere in modo integrale qui: vatican.va
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CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO SUL TEMA
“NON LASCIAMOLI SOLI!
ACCOMPAGNARE I GENITORI NELL’EDUCAZIONE DEI FIGLI ADOLESCENTI”
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Roma, Basilica di San Giovani in Laterano
Lunedì, 19 giugno 2017
3. In movimento
Educare gli adolescenti in movimento. L’adolescenza
è una fase di passaggio nella vita non solo dei vostri figli, ma di tutta la
famiglia – è tutta la famiglia che è in fase di passaggio –, voi lo sapete bene
e lo vivete; e come tale, nella sua globalità, dobbiamo affrontarla. E’ una
fase-ponte, e per questo motivo gli adolescenti non sono né di qua né di là,
sono in cammino, in transito. Non sono bambini (e non vogliono essere trattati
come tali) e non sono adulti (ma vogliono essere trattati come tali,
specialmente a livello di privilegi). Vivono proprio questa tensione, prima di
tutto in sé stessi e poi con chi li circonda.[1]
Cercano sempre il confronto, domandano, discutono
tutto, cercano risposte; e a volte non ascoltano le risposte e fanno un’altra
domanda prima che i genitori dicano la risposta… Passano attraverso vari stati
d’animo, e le famiglie con loro. Però, permettetemi di dirvi che è un tempo
prezioso nella vita dei vostri figli. Un tempo difficile, sì. Un tempo di
cambiamenti e di instabilità, sì. Una fase che presenta grandi rischi, senza
dubbio. Ma, soprattutto, è un tempo di crescita per loro e per tutta la
famiglia. L’adolescenza non è una patologia e non possiamo affrontarla come se
lo fosse. Un figlio che vive la sua adolescenza (per quanto possa essere
difficile per i genitori) è un figlio con futuro e speranza. Mi preoccupa tante
volte la tendenza attuale a “medicalizzare” precocemente i nostri ragazzi.
Sembra che tutto si risolva medicalizzando, o controllando tutto con lo slogan
“sfruttare al massimo il tempo”, e così risulta che l’agenda dei ragazzi è
peggio di quella di un alto dirigente.
Pertanto insisto: l’adolescenza non è una patologia
che dobbiamo combattere. Fa parte della crescita normale, naturale della vita
dei nostri ragazzi. Dove c’è vita c’è movimento, dove c’è movimento ci sono
cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è speranza, gioia e anche angoscia e
desolazione. Inquadriamo bene i nostri discernimenti all’interno di processi
vitali prevedibili. Esistono margini che è necessario conoscere per non
allarmarsi, per non essere nemmeno negligenti, ma per saper accompagnare e
aiutare a crescere. Non è tutto indifferente, ma nemmeno tutto ha la stessa
importanza. Perciò bisogna discernere quali battaglie sono da fare e quali no.
In questo serve molto ascoltare coppie con esperienza, che se pure non ci
daranno mai una ricetta, ci aiuteranno con la loro testimonianza a conoscere
questo o quel margine o gamma di comportamenti.
I nostri ragazzi e le nostre ragazze cercano di
essere e vogliono sentirsi – logicamente – protagonisti. Non amano per niente
sentirsi comandati o rispondere a “ordini” che vengano dal mondo adulto
(seguono le regole di gioco dei loro “complici”). Cercano quell’autonomia
complice che li fa sentire di “comandarsi da soli”. E qui dobbiamo stare
attenti agli zii, soprattutto a quegli zii che non hanno figli o che non sono
sposati… Le prime parolacce, io le ho imparate da uno zio “zitello” [ridono].
Gli zii, per guadagnare la simpatia dei nipoti, tante volte non fanno bene.
C’era lo zio che ci dava di nascosto le sigarette, a noi… Cose di quei tempi. E
adesso… Non dico che siano cattivi, ma bisogna stare attenti. In questa ricerca
di autonomia che vogliono avere i ragazzi e le ragazze troviamo una buona
opportunità, specialmente per le scuole, le parrocchie e i movimenti
ecclesiali. Stimolare attività che li mettano alla prova, che li facciano
sentire protagonisti. Hanno bisogno di questo, aiutiamoli! Loro cercano in
molti modi la “vertigine” che li faccia sentire vivi. Dunque, diamogliela!
Stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti, e
che possano scoprire che tutto il potenziale che hanno è un ponte, un passaggio
verso una vocazione (nel senso più ampio e bello della parola). Proponiamo loro
mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete.
Non lasciamoli soli. Perciò, sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano. Non
lasciamo che la “vertigine” la ricevano da altri, i quali non fanno che mettere
a rischio la loro vita: diamogliela noi. Ma la vertigine giusta, che soddisfi
questo desiderio di muoversi, di andare avanti. Noi vediamo in tante
parrocchie, che hanno questa capacità di “prendere” gli adolescenti…: “Questi
tre giorni di vacanza, andiamo in montagna, facciamo qualcosa…; o andiamo a
imbiancare quella scuola di un quartiere povero che ha bisogno…”. Farli
protagonisti di qualcosa.
Questo richiede di trovare educatori capaci di
impegnarsi nella crescita dei ragazzi. Richiede educatori spinti dall’amore e
dalla passione di far crescere in loro la vita dello Spirito di Gesù, di far
vedere che essere cristiani esige coraggio ed è una cosa bella. Per educare gli
adolescenti di oggi non possiamo continuare a utilizzare un modello di
istruzione meramente scolastico, solo di idee. No. Bisogna seguire il ritmo
della loro crescita. E’ importante aiutarli ad acquisire autostima, a credere
che realmente possono riuscire in ciò che si propongono. In movimento, sempre.
4. Una
educazione integrata
Questo processo esige di sviluppare in maniera
simultanea e integrata i diversi linguaggi che ci costituiscono come persone.
Vale a dire insegnare ai nostri ragazzi a integrare tutto ciò che sono e che
fanno. Potremmo chiamarla una alfabetizzazione socio-integrata, cioè
un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e
l’agire (le mani). Questo offrirà ai nostri ragazzi la possibilità di una
crescita armonica a livello non solo personale, ma al tempo stesso sociale.
Urge creare luoghi dove la frammentazione sociale non sia lo schema dominante.
A tale scopo occorre insegnare a pensare ciò che si sente e si fa, a sentire
ciò che si pensa e si fa, a fare ciò che si pensa e si sente. Cioè, integrare i
tre linguaggi. Un dinamismo di capacità posto al servizio della persona e della
società. Questo aiuterà a far sì che i nostri ragazzi si sentano attivi e
protagonisti nei loro processi di crescita e li porterà anche a sentirsi
chiamati a partecipare alla costruzione della comunità.
Vogliono essere protagonisti: diamo loro spazio
perché siano protagonisti, orientandoli – ovviamente – e dando loro gli
strumenti per sviluppare tutta questa crescita. Per questo ritengo che
l’integrazione armonica dei diversi saperi – della mente, del cuore e delle
mani – li aiuterà a costruire la loro personalità. Spesso pensiamo che
l’educazione sia impartire conoscenze e lungo il cammino lasciamo degli
analfabeti emotivi e ragazzi con tanti progetti incompiuti perché non hanno
trovato chi insegnasse loro a “fare”.
Abbiamo concentrato l’educazione nel cervello
trascurando il cuore e le mani. E questa è anche una forma di frammentazione
sociale.
In Vaticano, quando le guardie si congedano, io li
ricevo, uno a uno, quelli che si congedano. L’altro ieri ne ho ricevuti sei.
Uno a uno. “Cosa fai, cosa farete…”. Ringrazio per il servizio. E uno mi ha
detto così: “Io andrò a fare il carpentiere. Vorrei fare il falegname, ma farò
il carpentiere. Perché mio papà mi ha insegnato tante cose di questo, e
mio nonno anche”. Il desiderio di
“fare”: questo ragazzo è stato bene educato con il linguaggio del fare; e anche
il cuore è buono, perché pensava al papà e al nonno: un cuore affettivo buono.
Imparare “come si fa”… Questo mi ha colpito.
5. Sì all’adolescenza, no alla competizione
Come ultimo elemento, è importante che riflettiamo
su una dinamica ambientale che ci interpella tutti. E’ interessante osservare
come i ragazzi e le ragazze vogliono essere “grandi” e i “grandi” vogliono
essere o sono diventati adolescenti.
Non possiamo ignorare questa cultura, dal momento
che è un'aria che tutti respiriamo. Oggi c’è una specie di competizione tra
genitori e figli; diversa da quella di altre epoche in cui normalmente si
verificava il confronto tra gli uni e gli altri. Oggi siamo passati dal
confronto alla competizione, che sono due cose diverse. Sono due dinamiche
diverse dello spirito. I nostri ragazzi oggi trovano molta competizione e poche
persone con cui confrontarsi. Il mondo adulto ha accolto come paradigma e
modello di successo l’ “eterna giovinezza”. Sembra che crescere, invecchiare,
“stagionarsi” sia un male. E’ sinonimo di vita frustrata o esaurita. Oggi
sembra che tutto vada mascherato e dissimulato. Come se il fatto stesso di
vivere non avesse senso. L’apparenza, non invecchiare, truccarsi… A me fa pena
quando vedo quelli che si tingono i capelli.
Com’è triste che qualcuno voglia fare il “lifting”
al cuore! E oggi si usa più la parola “lifting” che la parola “cuore”! Com’è
doloroso che qualcuno voglia cancellare le “rughe” di tanti incontri, di tante
gioie e tristezze! Mi viene in mente quando alla grande Anna Magnani hanno
consigliato di fare il lifting, ha detto: “No, queste rughe mi sono costate
tutta la vita: sono preziose!”.
In un certo senso questa è una delle minacce
“inconsapevoli” più pericolose nell’educazione dei nostri adolescenti: escluderli
dai loro processi di crescita perché gli adulti occupano il loro posto. E
troviamo tanti genitori adolescenti, tanti. Adulti che non vogliono essere
adulti e vogliono giocare a essere adolescenti per sempre. Questa
“emarginazione” può aumentare una tendenza naturale che hanno i ragazzi a
isolarsi o a frenare i loro processi di crescita per mancanza di confronto. C’è
la competizione, ma non il confronto.