Ripubblichiamo il bell'articolo a firma di Alessandro D'Avenia, insegnante appassionato e scrittore di successo, apparso su Avvenire il 18 giugno scorso
Qui il link al sito di Prof 2.0
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Siamo sicuri che la cosiddetta educazione
cattolica ci riesca?
Maturità: uno degli ultimi riti di passaggio
nella nostra cultura, come quando l’adolescente veniva abbandonato nel bosco
per una notte e doveva sopravvivere da solo affrontandone i pericoli per poter
essere accolto nella cerchia degli adulti. La scuola di oggi riesce a rendere
questo rito effettivo o si è ridotto a una pratica ormai vuota? È compito solo
della scuola? L’obiettivo dell’istruzione è la cultura e la scienza,
l’obiettivo dell’insegnamento è l’autonomia.
Sono inseparabili, ma hanno finalità specifiche
che è bene distinguere per poi poterle unire. Un insegnante nell’atto stesso
dell’istruire educa, e nell’educare istruisce. Chi separa forzosamente queste
due dimensioni pensando di poterle agire separatamente produce: o nozionismi
che saranno presto dimenticati, non avendo presa sulla persona nella sua
interezza, confinate solo in una zona periferica e non utile all’autonomia; o
automi, cioè uomini e donne che ripetono gesti che non hanno vagliato
personalmente ma si sono attaccati addosso per imitazione e contagio, non per
interiorizzazione.
Come dunque insegnamento e istruzione trovano
equilibrio nella loro differenza? Come si armonizzano nell’obiettivo di
“pro-vocare” persone mature? Solo a patto che questa armonia sia coltivata ogni
giorno dall’insegnante nella sua propria vita e offerta nel vissuto concreto ai
propri studenti. Solo se l’insegnante coltiva e amplia la sua vita interiore,
incoraggia la “conversazione interiore”, cioè la capacità di abitare in se
stessi in mezzo al flusso delle cose senza esserne travolti, dare ampio assenso
alla vita senza esserne schiacciati. Insomma, essere maturi è umanizzare l’uomo
(cosa che riguarda tutte le età della vita e non solo i diciottenni),
distinguendosi dagli animali che sono totalmente “nel mondo” e si limitano a
reagire alle sue sollecitazioni, mentre l’uomo è, sì, nel mondo ma è anche
contemporaneamente di fronte al mondo: ha uno spazio dentro di sé grazie al
quale lo considera, lo interiorizza, lo valuta: «Quello che i sensi e
l’intelletto pongono di fronte è un mondo di cose; l’importanza che esse
possiedono ai fini della costituzione del mondo interiore, come alimento
spirituale, le denota come oggetti di valore o come beni. Nella misura in cui i
beni sono prodotti dello spirito umano, suscitati dalla sua attività creativa,
li designiamo come beni culturali. Essi hanno un’esistenza autonoma, svincolata
dal suo autore.
Per lo più è un oggetto materiale a costituire
la materia prima del loro essere. Ma ciò che costituisce il loro valore è
qualcosa di spirituale; un elemento di vita spirituale è misteriosamente
imprigionato in loro, e può essere afferrato dall’anima che ne viene a
contatto. Se li consideriamo sotto questo punto di vista, li chiameremo beni
educativi. Più ancora che dal rapporto col complesso di questi beni, l’anima si
avvantaggia nell’avere rapporto con i loro eventuali autori, con le persone
viventi. Lo sviluppo dell’anima e quello del suo ambiente spirituale procedono
di pari passo. Il compito degli educatori è quello di fornire questi
materiali». Questo scrive Edith Stein, in La vita come totalità.
Non è un caso che la patrona d’Europa, morta in
campo di concentramento, intitoli così il suo libro. La vita come totalità:
credo sia questa la sfida per una visione cattolica dell’educazione, che non
significa una visione confessionale, catechistica, parziale, ma appunto
universale, cioè quella che riconduce ad “unità” l’immensa varietà di oggetti
del mondo, rispettandola.
Visione cattolica significa guardare le cose
all’interno della visione che ne ha Cristo: come guarderebbe quell’uomo, quella
donna, quel filo d’erba, quell’albero? In tutta la sua ampiezza e verità, per
il suo pieno compimento. Partecipiamo noi di questo sguardo? Solo
partecipandovi e coltivandolo in noi potremo generare personalità mature,
perché il dinamismo della maturità non è lineare, non siamo macchine, ma
procede a stadi. Nel ragazzo viene risvegliato uno stadio ulteriore, che egli
vorrà raggiungere perché ne sente l’attrazione, il desiderio, la bellezza. Per questo
la maturità può conoscere fughe in avanti rispetto all’età (basti pensare a ragazzi che hanno sofferto molto)
o regressioni nonostante l’età raggiunta. La maturità non è mai data per
acquisita, è un dinamismo continuo, che avrà un percorso armonico nella misura
in cui si orienta la persona alla sua pienezza, in ogni tappa della sua vita.
Questo è educare: «L’insegnamento non è che una
parte dell’educazione. Ma col termine educazione intendiamo la formazione
dell’essere umano nel suo complesso, con tutte le sue forze e tutte le sue
capacità. Cos’altro vogliamo raggiungere coll’educazione se non che il giovane
che ci è affidato divenga un essere umano vero, autentico e autenticamente se
stesso (sia nel senso generale della natura umana quanto in quello particolare
della personalità individuale). Come conseguire però questo fine? L’educatore
deve possedere un’idea chiara riguardo a in che consista l’educazione, cioè
l’autentica natura umana e l’autentica individualità. Formare esseri umani
autentici significa formarli ad immagine di Cristo, ma per farlo l’educatore
deve essere lui stesso un essere umano autentico» (ibidem). Credo che questa
sia la sfida della maturità, vero esame e rito di passaggio, in ogni età della
nostra vita.
Alessandro D'Avenia
Alessandro D'Avenia
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