Con questa settimana concludiamo questa piccola rassegna estiva di "pillole di orientamento familiare" con un tema di grande importanza: quello dell'atteggiamento di fiducia nei confronti dei figli.
Ce ne parla Saverio Sgroi, educatore e giornalista, responsabile del Centro di Orientamento & Mobilità ARCES di Palermo sul tema dell’educazione degli adolescenti.
Augurando a tutti un Buon Ferragosto, diamo a tutti appuntamento a fine mese per le notizie sulle attività autunnali.
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Saverio Sgroi |
Fidarsi è bene. In educazione è ancora meglio
di Saverio Sgroi dal sul blog "La Sfida Educativa"
La fiducia è bene, il controllo è meglio. Così sosteneva Lenin, uno degli uomini che più hanno influenzato la storia del XX secolo. Effettivamente chi conosce un po’ di storia sa che il rivoluzionario russo mise in pratica fino in fondo queste parole. E purtroppo conosciamo le conseguenze che esse hanno avuto su milioni di persone.
Nonostante le parole di Lenin, la fiducia rimane probabilmente il fulcro di ogni forma di relazione; da essa dipende che un rapporto tra due persone si possa sviluppare, approfondire, cementare. Se è fondata sulla fiducia, una relazione può diventare fonte di gratificazione per chi ne è coinvolto direttamente. L’amicizia, l’amore, la fraternità, gli stessi rapporti tra colleghi di lavoro non reggerebbero se alla base non ci fosse la convinzione che ci si può fidare gli uni degli altri.
Chi potrebbe sostenere il contrario? Eppure oggi sappiamo quanto sia arduo parlare di fiducia. Spesso tocchiamo con mano la diffidenza, la paura, il tradimento, la delusione. “Ormai non ho più fiducia nel futuro“, mi confidava qualche giorno fa una giovane amica. Effettivamente, tra crisi economica, mancanza di lavoro, fragilità delle relazioni affettive, instabilità delle famiglie e via dicendo è oggettivamente difficile continuare ad alimentare la fiducia che il mondo possa essere migliore. Ma non è solo questo. Probabilmente alle difficoltà oggettive si aggiunge il fatto che abbiamo perso la sensibilità a percepire il bello e, di conseguenza, ad alimentare la speranza. Tant’è che incontrare una persona ottimista a volte ci sembra un’occasione più unica che rara.
Tutto ciò si ripercuote inevitabilmente sulle persone che, per motivi educativi, ci vengono affidate dalla vita stessa: i figli, gli studenti, i ragazzi in generale. È evidente che per trasmettere fiducia i primi che devono incarnarla e manifestarla con il proprio atteggiamento siamo noi adulti. Altrimenti il nostro lavoro educativo rischierebbe di essere falso e artificioso. E, di conseguenza, inefficace.
Ma c’è dell’altro. Nutrire un sentimento di sfiducia nei confronti della vita ci renderebbe probabilmente anche incapaci di attuare un comportamento che, nell’educazione, è fondamentale per far crescere i ragazzi e renderli autonomi: concedere loro la nostra fiducia, accettare il rischio che possano sbagliare.
Il secondo punto del decalogo dell’educatore, su cui mi vorrei soffermare oggi, tocca proprio questo aspetto: “Mostra fiducia, con il tuo atteggiamento prima che con le parole. Forse non eviterai l’errore ma avrai fatto crescere una persona“.
Ricordo ancora la paura di una mamma che avrebbe dovuto iscrivere all’università la figlia diciottenne, la quale si stava apprestando a fare gli esami di maturità: “conosco mia figlia, so già che se non vado io a iscriverla perderà sicuramente un anno. Lei è fatta così.”.
Lei è fatta così, ripeteva la signora. Ma, c’è da chiedersi, chi ha fatto sì che la ragazza rimanesse così incapace di badare a sé stessa. Non avrebbe fatto bene, la madre, a farle correre il rischio di perdere un anno di studio, pur di farla crescere su un punto così importante? Che autonomia potrà avere nella vita una ragazza che non è neanche in grado di provvedere da sola all’iscrizione all’università?
“I miei genitori sono oppressivi, mi soffocano, si preoccupano troppo e credo sia indice di sfiducia nei miei confronti”. Così mi diceva qualche tempo fa una ragazza, che si lamentava dell’eccessiva apprensione mostrata dai genitori nei suoi confronti. “Mi piacerebbe che mi facessero sbagliare qualche volta”, continuava. Ecco un altro esempio di quello che ci stiamo dicendo.
Quando ho l’occasione di incontrare i genitori e di parlare loro di comunicazione con i figli, mi capita frequentemente di fare un esempio che potrà sembrare forse semplice e banale ma che probabilmente racchiude il segreto di un rapporto positivo con loro. Un modo di agire che salvaguarda sia il comprensibile timore che i figli, sbagliando, si facciano del male, sia il diritto che questi hanno di sbagliare per far tesoro dei propri errori. Avete presenti quelle signore che vanno in giro con un mini-cane legato ad un guinzaglio che ha il magico potere di allungarsi e accorciarsi alla semplice pressione di un tasto? Il cagnolino si sente libero di scorazzare in lungo e in largo fino a quando, fiutato un pericolo imminente, la padrona schiaccia il tasto e riaggomitola la corda che lo lega al collare. E il cane torna nel “raggio d’azione” del proprio padrone, al sicuro da ogni pericolo.
È chiaro che si tratta di un esempio e come tale lascia il tempo che trova. Ma probabilmente rende un po’ l’idea di quello che significa per un genitore lasciare ai figli la giusta autonomia che permetta loro di fare esperienza, di imparare, di sbagliare, intervenendo soltanto laddove il rischio di farsi male inizia a preoccupare seriamente.
Qualcuno obietterà che con i figli più grandi non sempre funziona così. È vero. Bisognerà trovare allora altre modalità. Ma rimane comunque la necessità di permettere ai ragazzi di poter sbagliare. Impedirglielo significherebbe rallentare e a volte bloccare irreparabilmente la loro maturazione affettiva e caratteriale.
Che imparino a prepararsi lo zaino da soli; e se un giorno dimenticano per l’ennesima volta il vocabolario di latino, meglio che prendano quattro nella versione piuttosto che scapicollarci noi per portarglielo a scuola.
Che imparino a rifarsi il letto; è scandaloso che a sedici anni non sappiano farselo perché ci ha sempre pensato la mamma.
Che sappiano farsi da soli i calcoli per arrivare a fine mese con la paghetta che diamo loro. All’inizio sbaglieranno ma impareranno poco a poco a gestire i soldi.
Che sentano la nostra fiducia quando chiedono di uscire con gli amici. Se ci dicono che rientreranno a mezzanotte, non iniziamo a chiamarli già dalle dieci per verificare se si stanno avviando verso casa.
Condividiamo con loro le regole, rendiamoli partecipi dei programmi, anche se sono ancora troppo giovani. Il sentirsi coinvolti accresce in loro l’autostima e anche la stima che hanno nei nostri confronti.
Sono solo esempi di quello che significa dare fiducia ai ragazzi. Non è facile, perché il desiderio di sostituirci a loro è sempre latente e pronto a manifestarsi al primo timore che non riescano a farcela da soli. Eppure non abbiamo altra strada se vogliamo farli diventare grandi. E se vogliamo che imparino a usare bene uno dei doni più grandi che sono stati dati loro: la libertà.
Estratto dal blog: La Sfida Educativa di Saverio Sgroi
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