Medico, psicanalista e scrittore, Luigi Ballerini
sa come parlare ai giovani.
Formatosi alla scuola di Giacomo Contri,
fondatore e presidente della Società Amici del Pensiero Sigmund Freud, è
editorialista per ‘Avvenire’ sulle tematiche scuola, educazione,
giovani e ha collaborato anche con ‘Il Sole 24Ore’. Ospite, opinionista
ed esperto in numerose trasmissioni televisive (TGcom24, RAIGulp,
Canale5) e radiofoniche (Radio24, RAIRadio3 e RaiRadio2).
Uno dei suoi
libri è stato insignito del White Raven Award 2009, nel 2014 ha vinto il
Premio Andersen per il miglior libro età 9-12 anni e nel 2016 il Premio
Bancarellino. Tra le altre cose è stato membro della Commissione Scuola
di Expo2015.
In questa intervista tratta di Il Cosmo (qui leggi l'originale) prova a fare luce sull’universo
giovani, tanto sconosciuto, quanto pieno di luce.
Quanto sono cambiati i giovani?
Hanno trovato un’iscrizione su un vaso d’argilla dell’antica Babilonia, in cui si diceva che i giovani di quell’epoca erano terribili e che la fine del mondo sarebbe stata vicina. Quindi questa domanda se la pone ogni generazione. In realtà i giovani sono sempre gli stessi. La giovinezza ha un desiderio: quello di lasciare un segno nel mondo, di non vivere inutilmente, di sperare di cambiare le cose, di essere significativi per qualcuno. I ragazzi sono gli stessi, ma è cambiato il contesto in cui si trovano a vivere. I ragazzi del 2019 vivono in un contesto particolare caratterizzato da due elementi. Il primo, una maggior fragilità del mondo adulto e il secondo, è innegabile che l’avvento del digitale ha cambiato le regole dei giochi. Gli adulti sono più fragili, insicuri, a tratti più adolescenziali che gli adolescenti stessi, fanno fatica ad essere guide e temono di perdere l’amore dei figli. Confondono controllo con educazione. Questa generazione, mi viene da dire, è la più controllata e la più abbandonata della storia. Poi ci sono le nuove tecnologie che smaterializzando la realtà, il mondo reale, e ciò ha delle implicazioni
Hanno trovato un’iscrizione su un vaso d’argilla dell’antica Babilonia, in cui si diceva che i giovani di quell’epoca erano terribili e che la fine del mondo sarebbe stata vicina. Quindi questa domanda se la pone ogni generazione. In realtà i giovani sono sempre gli stessi. La giovinezza ha un desiderio: quello di lasciare un segno nel mondo, di non vivere inutilmente, di sperare di cambiare le cose, di essere significativi per qualcuno. I ragazzi sono gli stessi, ma è cambiato il contesto in cui si trovano a vivere. I ragazzi del 2019 vivono in un contesto particolare caratterizzato da due elementi. Il primo, una maggior fragilità del mondo adulto e il secondo, è innegabile che l’avvento del digitale ha cambiato le regole dei giochi. Gli adulti sono più fragili, insicuri, a tratti più adolescenziali che gli adolescenti stessi, fanno fatica ad essere guide e temono di perdere l’amore dei figli. Confondono controllo con educazione. Questa generazione, mi viene da dire, è la più controllata e la più abbandonata della storia. Poi ci sono le nuove tecnologie che smaterializzando la realtà, il mondo reale, e ciò ha delle implicazioni
Adulti-bambini e Bambini-adulti: a cosa è dovuta questa inversione di ruoli?
Tendo ad assumere questo in un processo di infantilizzazione dell’adulto, come detto prima, e di adultizzazione dell’infante. È vero che il desiderio di crescere, di diventare o sembrare grande, non è un desiderio nuovo. L’idea di abbandonare presto il mondo dell’infanzia per atteggiarmi da grande ha un problema però: prende come riferimento uno stereotipo di adulto. Cosa significa diventare grandi? Di certo non è scimmiottare comportamenti e atteggiamenti, che è una cosa che spesso fanno
Tendo ad assumere questo in un processo di infantilizzazione dell’adulto, come detto prima, e di adultizzazione dell’infante. È vero che il desiderio di crescere, di diventare o sembrare grande, non è un desiderio nuovo. L’idea di abbandonare presto il mondo dell’infanzia per atteggiarmi da grande ha un problema però: prende come riferimento uno stereotipo di adulto. Cosa significa diventare grandi? Di certo non è scimmiottare comportamenti e atteggiamenti, che è una cosa che spesso fanno
Legati ai recenti fatti di
cronaca e statistiche sulle dipendenze, i comportamenti autodistruttivi
dei giovani a cosa sono dovuti?
Quello che io osservo è che c’è un precoce implemento di abuso di cannabis sicuramente, con ragazzi e ragazze molto giovani che sono stati convinti da articoli in rete della totale innocuità della cosa. Tale per cui viene ritenuto ‘normale’ che si fumino spinelli alle medie, in alcune zone d’Italia più o meno di altre. Questo ne aumenta la diffusione. Io ho l’impressione, per i ragazzi che conosco e che frequento, che non c’è l’idea dell’autodistruzione. Cioè non lo faccio per quello, ma perchè mi sembra di averne un beneficio. Anche il problema dell’alcol è diffuso: si inizia presto, è facilmente disponibile, tipo gli ‘shottini’, che costano poco e vengono serviti anche ai minori, perchè non viene chiesta la carta d’identità. Parlando con loro però, mi dicono: ‘Se butto giù qualche ‘shottino’, se mi fumo una canna o se altero il mio stato, diventano più facili i rapporti: riesco a fare il brillante con le ragazze, a inserirmi nel gruppo. In realtà viene fuori una fragilità del soggetto. Perchè se un soggetto si sente interessante e ritiene di avere qualcosa da dire non avrà bisogno di cercare in una sostanza nociva la forza di interagire con il gruppo. Io non ho mai incontrato ragazzi che volutamente cercassero del male, sono dei sedativi all’angoscia. Molti dicono ‘almeno per un po’ non penso’, perchè per loro pensare è diventato faticoso, doloroso. Per cui gli dà uno stato di sedazione temporanea che li lascia tranquilli e che loro scambiano per benessere
Quello che io osservo è che c’è un precoce implemento di abuso di cannabis sicuramente, con ragazzi e ragazze molto giovani che sono stati convinti da articoli in rete della totale innocuità della cosa. Tale per cui viene ritenuto ‘normale’ che si fumino spinelli alle medie, in alcune zone d’Italia più o meno di altre. Questo ne aumenta la diffusione. Io ho l’impressione, per i ragazzi che conosco e che frequento, che non c’è l’idea dell’autodistruzione. Cioè non lo faccio per quello, ma perchè mi sembra di averne un beneficio. Anche il problema dell’alcol è diffuso: si inizia presto, è facilmente disponibile, tipo gli ‘shottini’, che costano poco e vengono serviti anche ai minori, perchè non viene chiesta la carta d’identità. Parlando con loro però, mi dicono: ‘Se butto giù qualche ‘shottino’, se mi fumo una canna o se altero il mio stato, diventano più facili i rapporti: riesco a fare il brillante con le ragazze, a inserirmi nel gruppo. In realtà viene fuori una fragilità del soggetto. Perchè se un soggetto si sente interessante e ritiene di avere qualcosa da dire non avrà bisogno di cercare in una sostanza nociva la forza di interagire con il gruppo. Io non ho mai incontrato ragazzi che volutamente cercassero del male, sono dei sedativi all’angoscia. Molti dicono ‘almeno per un po’ non penso’, perchè per loro pensare è diventato faticoso, doloroso. Per cui gli dà uno stato di sedazione temporanea che li lascia tranquilli e che loro scambiano per benessere
Parlare ai giovani: come si fa ad essere efficaci?
Nel mio ultimo romanzo appena
uscito ‘Torna da me’, un ‘crossover’, scritto per i ragazzi, ma
leggibile per gli adulti, l’incipit è proprio ‘Non ti capisco più’. C’è
questo battibecco tra madre e figlia sedicenne. Questa ragazza diceva
che sua madre non capiva nulla di lei, non si capivano tra di loro, la
madre non capiva ciò e quindi non si erano mai capite. Si fa fatica a
capirsi dunque e per capirsi bisogna parlarsi. La questione che lei pone
è una questione rilevante perchè l’adulto a volte tende a scambiare la
comunicazione con i più giovani come unidirezionale. Per parlare bisogna
essere in due e bisogna saper ascoltare. Il problema più grande nella
comunicazione dei giovani è che è unidirezionale, mentre in realtà si
tratta di guardarli con stima, considerandoli dei soggetti titolati a
dire qualcosa di loro stessi. Il soggetto si sente ascoltato e non
necessariamente assecondato , ma quantomeno ascoltato con serietà nelle
sue istanze. Non con un puro oggetto di educazione, è più facile che
parli e che a sua volta ascolti. Io credo che sia da rivedere quella che
chiamiamo la comunicazione di famiglia. Quando un giovane trova un
adulto che è interessato davvero a capire che idea si è fatto su una
certa cosa, dice questa idea. Sarebbe utile che gli adulti
frequentassero quella che erroneamente in Italia è considerata
letteratura per giovani. Per un adulto leggere un libro in cui c’è un
protagonista giovane, permetto spesso di capirli di più. Per parlare
meglio con i giovani bisogna conoscerli di più e un modo per conoscerli è
anche frequentare quei testi che li fanno parlare.