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testo
“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,
lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.
La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola
è indipendente dal controllo dello Stato”
Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918
martedì 19 dicembre 2017
sabato 16 dicembre 2017
La grammatica della coerenza, per non andare mai controcuore
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Nella
società dell’apparire, delle fanfare sul web, dell’esultanza per un
paio di like in più o per la gente che parla di noi, nel bene o nel
male, ci stiamo perdendo la grammatica della coerenza.
Quelle poche, semplici indicazioni che vogliono soltanto portarci a
“sentire” di nuovo, sentire forte. Non travolti dalla ridondanza, non
oppressi dall’esteriorità.
Riscoprire il
senso più vero delle parole significa dar loro il giusto peso. Vuol dire
pronunciarle dopo averle ponderate, viverle senza soccombere, lasciarle
andare senza che siano intrise di pregiudizio o di falsità.
Non
mostriamoci diversi da quello che siamo, la grammatica della coerenza
serve proprio a questo. A testimoniare genuinità, cura, rispetto e,
soprattutto, verità. Non fingiamoci altro, non cediamo alle frasi di
comodo, le più semplici.
AI BAMBINI BISOGNA DIRE LA VERITÀ
Perché
non partiamo da noi stessi, imparando a cancellare i filtri che ci
caliamo addosso per apparire diversi, per non essere davvero noi? Perché
smettiamo di raccontarci bugie?
Non possiamo formare gli uomini e
le donne del domani, i piccoli di oggi, se non gli permettiamo di
vedere la nostra anima. Basta allora fingere di stare sempre bene, di
essere sempre perfetti. Impariamo ad essere coerenti, a dichiarare le
nostre imperfezioni.
Che significa tutto questo? Vuol dire, semplicemente, che parliamo troppo e sentiamo troppo poco.
No, badate bene, non abbiamo scritto “ascoltiamo”, ma “sentiamo”. Il
che significa che pronunciamo parole, ma spesso la loro vera essenza si
perde.
Non possiamo insegnare ai bambini a seguirci a testa alta,
come l’ochetta Martina che trotterellava dietro a Konrad Lorenz, se non
curiamo la nostra coscienza, ardua operazione che richiede il coraggio
di andare contro corrente e di non aver paura di fronte alla salita.
In chiusura, riprediamo l’ultimo paragrafo del prezioso contributo di Paolo Mai:
- “Curare le virtu’ è un processo lungo, ascoltare il cuore costa fatica e allora nell’attesa cominciamo col dare il giusto significato ai detti e alle parole.
- “Studium” significa ,si, applicarsi ma anche meravigliarsi e appassionarsi.
- “Scholè” significa ozio, tempo libero, magari da dedicare a ciò che ci appassiona.
- “Ripetere”non significa ridire ciò che ha detto un altro ma domandare piu’ volte.
- “Aula”deriva dal greco aulè che significa luogo libero, arioso”.
Tutto questo va riscoperto, coerenza significa anche restare ancorati al valore più vero delle cose. Quello che nessun social, chat o foto filtrata potranno rendere virale o travisare.
mercoledì 13 dicembre 2017
Allestire stanze: un bel modo per celebrare il periodo dell'Attesa

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Il desiderio di autonomia di un
figlio adolescente ci mette alle strette sull’urgenza di allestire la
sua camera “#tuttapersé”. Così, da una parte senza troppa consapevolezza
sulla baraonda da scatenare in casa, dall’altra con il suo fiato sul
collo ad ogni occasione utile, bisogna iniziare a progettare. E quando
ci si mette a progettare, ci si rende conto di un sacco di aspetti che
non si erano affatto presi in considerazione.
Punto uno: per dare spazio bisogna liberare spazio.
Sembra banale… ma non lo è. Prima di
tutto devo combattere la mia inerzia nel cominciare ad aprire i cassetti
che conservano un numero di cose inimmaginabili: so che appena ne
aprirò uno, mi si spalancherà un mondo che dovrò setacciare e, ahimé,
gestire. Alla prova dei fatti, tutto sommato, risulta interessante
rivangare un passato depositato, ufficialmente archiviato, pure
impolverato e ritrovare oggetti di cui non si ricordava nemmeno
l’esistenza, cianfrusaglie inutili che, davvero, ci si chiede perché
siano state salvate e poi incontrare, riprendere e rielaborare ricordi
legati ai fogli scritti, alle fotografie… ed iniziare a percepire la
necessità di fare pulizia… assumere un sano distacco dalle cose,
sceglierne soltanto alcune, riciclarne altre, dare un ordine ad ogni
cosa (o, come direbbe mio marito, con la famigerata regola delle “5 S”…
un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto).
«Eccola che parte con la sua mistica spicciola!»,
mi direte. Forse sì, avete ragione voi… ma è ciò che sto sperimentando
con gli Esercizi Ignaziani nella vita quotidiana. Se prima era solo una
teoria similintellettualspirituale, ora è una consapevolezza frutto di
un’esperienza. Quando sentiamo il desiderio di mettere ordine dentro di
noi e proviamo a coltivarlo, un po’ tutto ciò che ci sta intorno prende
un diverso ordine, si muove, si mette in moto per riassestarsi, per
occupare gli spazi liberati, per offrirci nuove libertà interiori, per
darci nuovi sguardi su ciò che ci circonda. Un po’ come allestire stanze
nuove nella nostra casa, per offrire il giusto spazio di autonomia a
ciascun componente della famiglia.
Punto tre: una volta fatto spazio e ordine mi sento più capace di accogliere nella gratuità.
Questo
punto, naturale conseguenza degli altri due, è lo spirito con cui sento
di mettermi in attesa dell’Amore, che verrà a visitarci tutti, senza
distinzione, nella notte di Natale. Perché per accogliere l’Amore che ci
ama da sempre, l’Amore che viene a cercarci e continua a cercarci senza
tregua – pur lasciandoci liberi di allontanarci, ma sempre pronto a
precederci nell’abbraccio della sua tenerezza – ci viene chiesto davvero
di allestire la nostra stanza più bella, di curarla, di riscaldarla e
di metterci dentro tutti noi stessi: il bene che siamo e le mancanze
d’amore che quotidianamente collezioniamo. A tutto il resto ci penserà
l’Amore che, senza alcun nostro merito, verrà a portarci la Luce e
tornerà a renderci capaci di allargare le nostre stanze per chi ancora
non è riuscito a farlo.
Così, nell’allestire stanze,
nell’abbassare colli, nel riempire valli, camminiamo e attendiamo con
gioia.
Ed, insieme, iniziamo l’Avvento.
domenica 10 dicembre 2017
L'educatore è chiamato a farsi piccolo per aiutare la persona a diventare grande
In questa seconda Domenica di Avvento ci piace riportare qui (guarda il video) il bel commento al Vangelo del Prof. Andrea Porcarelli del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università di Padova che, citando le parole di Don Gino Corallo (educatore e pedagogista salesiano), ci parla della figura di S. Giovanni Battista ed
il suo farsi metafora pedagogica:
"oportet me minui ut illum crescat" ... l'educatore è chiamato a farsi
piccolo, a rendersi inutile, proprio man mano che sta aiutando la
persona educabile a diventare grande, autonomo
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GUARDA IL VIDEO |
venerdì 8 dicembre 2017
VITTORINO ANDREOLI: Educare significa far riscoprire la vita
Due
riflessioni che prendono le mosse dal pensiero di Vittorino Andreoli,
noto psichiatra e scrittore italiano sul senso dell’educazione e pubblicate dal sito portalebambini.it.
Perché, al di là dei metodi (che sono tutti, ugualmente limitanti, pur avendo svariati pregi) rimane il dilemma di capire cosa significhi educare.
Questo
passaggio è il più difficile: la vita e la bellezza, infatti, sono
straordinariamente complesse. L’educazione moderna, spesso, semplifica
fino all’eccesso. Prendiamo un esempio: quando parliamo di sviluppo
sensoriale, pur toccando un tema nodale all’interno dello sviluppo
psicologico, non possiamo dimenticare che ci sono infinite altre sfere
della persona e della sua crescita bisognose di attenzione. Il rischio
dell’educazione moderna è quello di risultare sbilanciata, a favore di
alcuni elementi quali sensorialità, socialità, logica. Sono elementi
essenziali, è vero, ma lo sono anche tutti gli altri.
Il Prof. Andreoli si sofferma spesso sul tema dell’unicità dell’uomo, che va considerato nel suo insieme, in termini olistici: non possiamo ridurlo ad una sequenza di sintomi (per quanto attiene alla psichiatria), comportamenti o linee di sviluppo.
Dunque, nello sforzo di educare, dovremmo innanzitutto trasmettere il nostro amore per la vita, la nostra ricerca per la bellezza. Inevitabilmente chi farà propri questi elementi li modificherà; alle volte saranno stravolti rispetto a come noi li intendevamo. Eppure, se saremo riusciti a trasmettere la passione, il nostro sforzo sarà produttivo.
Prima di Andreoli, un altro grande (tra i tanti) aveva trattato il tema della relazione nei termini della fragilità: Antoine de Saint-Exupéry; ne “Il Piccolo Principe”, infatti, il dialogo con la Volpe, mette proprio in evidenza come le relazioni siano qualcosa che ha a che fare con la fragilità della nostra natura, capaci anche di fare soffrire; le relazioni si costruiscono giorno dopo giorno, un mattoncino sopra l’altro. E ogni tanto, inevitabilmente, qualcuno di essi cede.
Proprio la lettura (e rilettura) di questo testo può aiutarci a capire meglio l’importanza della fragilità, intesa non come debolezza ma come consapevolezza.
NOTA: le citazioni contenute in questo passo sono “riadattate” mettendo insieme alcuni stralci dell’intervista che Andreoli ha rilasciato a febbraio 2017 al SIR (Servizio Informazione Religiosa) e che potete leggere integralmente qui.
Perché, al di là dei metodi (che sono tutti, ugualmente limitanti, pur avendo svariati pregi) rimane il dilemma di capire cosa significhi educare.
EDUCAZIONE COME SCOPERTA DELLA VITA
"Educare non è una decorazione, o insegnare le buone maniere. Il primo requisito per rendere possibile l’educazione è far scoprire la vita e la sua bellezza"
Vittorino Andreoli
Il Prof. Andreoli si sofferma spesso sul tema dell’unicità dell’uomo, che va considerato nel suo insieme, in termini olistici: non possiamo ridurlo ad una sequenza di sintomi (per quanto attiene alla psichiatria), comportamenti o linee di sviluppo.
Dunque, nello sforzo di educare, dovremmo innanzitutto trasmettere il nostro amore per la vita, la nostra ricerca per la bellezza. Inevitabilmente chi farà propri questi elementi li modificherà; alle volte saranno stravolti rispetto a come noi li intendevamo. Eppure, se saremo riusciti a trasmettere la passione, il nostro sforzo sarà produttivo.
EDUCAZIONE COME RELAZIONE
"L’educazione è una relazione tra due persone di generazioni diverse. Un buon educatore deve essere fragile. La fragilità è la forza della relazione"Questo passaggio è particolarmente significativo per comprendere come l’educazione non si possa limitare ad una staffetta di valori. Educare significa accettare il rischio di mescolare i propri valori con quelli dell’altro, di contaminarsi. Non possiamo in alcun modo educare se rinunciamo a comprendere il mondo dell’altro; questo è specialmente valido quando si parla di adolescenza, oppure di relazioni difficili.
Vittorino Andreoli
Prima di Andreoli, un altro grande (tra i tanti) aveva trattato il tema della relazione nei termini della fragilità: Antoine de Saint-Exupéry; ne “Il Piccolo Principe”, infatti, il dialogo con la Volpe, mette proprio in evidenza come le relazioni siano qualcosa che ha a che fare con la fragilità della nostra natura, capaci anche di fare soffrire; le relazioni si costruiscono giorno dopo giorno, un mattoncino sopra l’altro. E ogni tanto, inevitabilmente, qualcuno di essi cede.
Proprio la lettura (e rilettura) di questo testo può aiutarci a capire meglio l’importanza della fragilità, intesa non come debolezza ma come consapevolezza.
NOTA: le citazioni contenute in questo passo sono “riadattate” mettendo insieme alcuni stralci dell’intervista che Andreoli ha rilasciato a febbraio 2017 al SIR (Servizio Informazione Religiosa) e che potete leggere integralmente qui.
martedì 5 dicembre 2017
I genitori «spazzaneve», spianano la strada ai figli ma li danneggiano (dal "Corriere della Sera del 30 nov 2017)
Riportatiamo qui un interessante articolo pubblicato da www.corriere.it/scuola (qui la versione originale) e l'allarme di una preside contro la tendenza a «spianare la strada ai figli».
di
Claudia Voltattorni
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Gli inglesi li chiamano «genitori spazzaneve». Perché «ripuliscono ogni
cosa davanti ai loro figli in modo che nulla possa andare loro storto e
possa minacciare la loro autostima». Succede a Londra, al collegio
femminile di Saint Paul dove la direttrice Clarissa Farr, racconta al
Times, ogni giorno si imbatte in madri e padri vittime di «ansia
frenetica che fa loro rifiutare l’idea che i propri pargoli possano
arrivare secondi». Il che si traduce in «bambini iperprotetti e incapaci
di affrontare un fallimento».
Succede anche in Italia. Dove schiere di genitori arrivano da insegnanti e presidi e «giustificano, minacciano, mentono perfino pur di proteggere gli amati figlioletti da una punizione». Succede all’asilo e si va avanti fino alle superiori. Perché «la scuola è il nemico». Riflette Daniela Scocciolini, per oltre quarant’anni insegnante e poi preside del liceo Pasteur di Roma: «La tendenza a prevenire ed evitare qualsiasi difficoltà ai figli è diventata patologica: padri e madri sono del tutto impreparati ad affrontare gli insuccessi dei figli, non ci si vogliono trovare perché non sanno come uscirne». È come se dicessero: «Non create problemi a mio figlio perché li create a me». E allora, «la soluzione più facile è dire sempre sì, spianare la strada: sono “genitori non genitori” che rinunciano a priori a educare i propri figli cercando di semplificare loro tutto». E la colpa di ogni insuccesso, dice Innocenzo Pessina, ex preside del liceo Berchet di Milano, 43 anni tra scuole di periferia e centro,«è data sempre alla scuola, così si arriva ai ricorsi al Tar per bocciature e brutti voti». Bisogna «insegnare ai ragazzi a confrontarsi con la realtà, aiutarli nelle strade in salita, faticose e impegnative, ma non sostituirsi a loro». I genitori, conferma anche Micaela Ricciardi, preside del liceo Giulio Cesare di Roma, sono «apprensivi e ai figli trasmettono una grande fragilità». L’unica strada è parlarci: «Dico loro di tenere la distanza: siate dei punti di riferimento, ma lasciateli sbagliare, solo così cresceranno responsabilizzati».
Ma c’è anche «l’ansia frenetica» di far primeggiare i figli ad ogni costo, la «ricerca del successo» con l’idea che chi sbaglia sia un fallito: «Crea tanta infelicità tra i ragazzi» dice Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta che dal blog «Psiche Lei» su Io Donna osserva ogni giorno genitori-figli-scuola: «Questo dilagare degli adulti sui figli fa solo male: si trasmettono aspettative e stereotipi per indirizzarli dando un’idea di competitività anziché di realizzazione di sé». E magari alla fine nessuno è contento: «Forse anche per la crisi economica - dice Vegetti Finzi - i genitori sono più ansiosi per il futuro e si sostituiscono ai figli, come se dicessero: “Scelgo io per te” e preparano loro le strade da seguire». E allora? «Lasciateli liberi - conclude la professoressa -, ritiratevi progressivamente lasciando la vita di vostro figlio a lui, inclusi fallimenti ed errori».
Succede anche in Italia. Dove schiere di genitori arrivano da insegnanti e presidi e «giustificano, minacciano, mentono perfino pur di proteggere gli amati figlioletti da una punizione». Succede all’asilo e si va avanti fino alle superiori. Perché «la scuola è il nemico». Riflette Daniela Scocciolini, per oltre quarant’anni insegnante e poi preside del liceo Pasteur di Roma: «La tendenza a prevenire ed evitare qualsiasi difficoltà ai figli è diventata patologica: padri e madri sono del tutto impreparati ad affrontare gli insuccessi dei figli, non ci si vogliono trovare perché non sanno come uscirne». È come se dicessero: «Non create problemi a mio figlio perché li create a me». E allora, «la soluzione più facile è dire sempre sì, spianare la strada: sono “genitori non genitori” che rinunciano a priori a educare i propri figli cercando di semplificare loro tutto». E la colpa di ogni insuccesso, dice Innocenzo Pessina, ex preside del liceo Berchet di Milano, 43 anni tra scuole di periferia e centro,«è data sempre alla scuola, così si arriva ai ricorsi al Tar per bocciature e brutti voti». Bisogna «insegnare ai ragazzi a confrontarsi con la realtà, aiutarli nelle strade in salita, faticose e impegnative, ma non sostituirsi a loro». I genitori, conferma anche Micaela Ricciardi, preside del liceo Giulio Cesare di Roma, sono «apprensivi e ai figli trasmettono una grande fragilità». L’unica strada è parlarci: «Dico loro di tenere la distanza: siate dei punti di riferimento, ma lasciateli sbagliare, solo così cresceranno responsabilizzati».
Ma c’è anche «l’ansia frenetica» di far primeggiare i figli ad ogni costo, la «ricerca del successo» con l’idea che chi sbaglia sia un fallito: «Crea tanta infelicità tra i ragazzi» dice Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta che dal blog «Psiche Lei» su Io Donna osserva ogni giorno genitori-figli-scuola: «Questo dilagare degli adulti sui figli fa solo male: si trasmettono aspettative e stereotipi per indirizzarli dando un’idea di competitività anziché di realizzazione di sé». E magari alla fine nessuno è contento: «Forse anche per la crisi economica - dice Vegetti Finzi - i genitori sono più ansiosi per il futuro e si sostituiscono ai figli, come se dicessero: “Scelgo io per te” e preparano loro le strade da seguire». E allora? «Lasciateli liberi - conclude la professoressa -, ritiratevi progressivamente lasciando la vita di vostro figlio a lui, inclusi fallimenti ed errori».
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