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testo

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera,

lasciata all’iniziativa privata e ai comuni.

La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola

è indipendente dal controllo dello Stato”

Antonio Gramsci, Grido del Popolo, 1918

martedì 17 ottobre 2017

"Basta fare la guerra agli insegnanti", la bella intervista a Matteo Bussola

Nel libro "Sono puri i loro sogni" (Einaudi) Matteo Bussola, scrittore e fumettista, padre di tre figlie, riflette sulla crescente ingerenza nella vita scolastica da parte dei genitori: professori bullizzati, alunni difesi a prescindere da mamma e papà, una contrapposizione scuola famiglia che non fa il bene dei ragazzi e rallenta la crescita della loro autonomia.

Intervista estratta da : famigliacristiana.it
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Tre bambine, una alla materna, una alle elementari e una alle medie, la giusta preoccupazione per la loro formazione e la loro crescita e contemporaneamente lo stupore nel dover assistere a una contrapposizione dai toni aspri tra le famiglie e gli insegnanti, su cui cade un crescente discredito. vengono messi in discussione, attaccati, derisi, persino bullizzati: mentre si difendono a spada tratta i figli, si cerca di rimuovere ogni loro difficoltà, anche sostituendosi a essi. C'è qualcosa di malato in questo rapporto tra due istituzioni che invece dovrebbero collaborare in nome della crescita dei ragazzi. E allora Matteo Bussola, un passato da architetto, che da anni si dedica alla sua passione, disegnare fumetti, ha deciso di scrivere una lettera aperta ai genitori, un libro dal titolo "Sono puri i loro sogni" (Einaudi),per invitarli a ristabilire un rapporto con la scuola improntato al rispetto e alla delega e non alla contrapposizione con il corpo docente. 

Che significa il titolo “Sono puri i loro sogni”?
Il titolo è una citazione di una poesia di Iosif Brodskij, “Odisseo a Telemaco”. In questa poesia Ulisse, ritornato in patria dopo anni di lontananza, dice al figlio Telemaco ormai giovanotto: “Senza me dai tormenti di Edipo tu sei libero, e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.”. E’ come se Ulisse, con queste parole, liberasse il figlio dalla paura del padre-totem. Così Telemaco sarà libero, libero di essere un uomo di un altro tipo – dunque non un guerriero come il padre – e di fondare un nuovo mondo, o quantomeno di vivere la sua vita. La poesia non la conoscevo, mi è stata suggerita da Paolo Repetti di Enaudi, e mi è sembrata contenere lo stesso auspicio che evoco nel mio libro: quel “passo indietro” che, come genitori, dovremmo fare per lasciare i nostri figli liberi di vivere e sbagliare, permettendo loro di confrontarsi con l’ opportunità di crescita che ogni ostacolo contiene.
 
Come si è arrivati alla situazione attuale che vedo spesso contrapposti i genitori agli insegnanti?

E’ stato un processo lento, partito molti anni fa. Il risultato è che, oggi, siamo passati da un estremo all’ altro. Da un mondo in cui la scuola era un’ istituzione intoccabile e gli insegnanti avevano ragione a prescindere, a un mondo in cui noi genitori tentiamo di difendere i nostri figli da chiunque cerchi di metterli in crisi – compresi gli insegnanti – da qualunque difficoltà, dimenticando che entrambe sono, invece, strumenti indispensabili per diventare adulti.
 
Si arriva anche a forme di vero bullismo nei confronti degli insegnanti?

Purtroppo sì. Sono sempre più frequenti – e documentati – casi di vere e proprie aggressioni agli insegnanti, anche sul piano fisico, denunce alla scuola, critiche spietate sulle chat di WhatsApp, querele a docenti che, ormai, non riescono quasi più a svolgere il loro compito con serenità ed equilibrio, intimoriti da eserciti di genitori pronti a difendere i propri figli da qualunque rimprovero. Alla scuola, più che educazione e istruzione, sembriamo chiedere costanti garanzie di sicurezza: i bambini non devono sentirsi a disagio, non devono avere problemi con i compagni, non possono ricevere punizioni nemmeno quando le meritano, non devono essere bocciati e sui brutti voti, in caso, interverremo noi genitori protestando con i docenti. Naturalmente, ci sono anche molti genitori rispettosi e assennati, ma la tendenza che rilevo è in continuo e preoccupante aumento. In psicologia vengono chiamati “genitori spazzaneve”, ovvero quei padri e quelle madri che si ostinano a rimuovere dalla strada dei figli qualunque tipo di ostacolo. E’ forse anche per questo che stiamo crescendo generazioni di bambini incapaci di gestire qualunque forma di stress.
 
Perché i genitori ingeriscono così tanto nella vita scolastica dei figli?

Credo sia una cosa che ha a che fare con gli atavici sensi di colpa che tutti noi genitori ci portiamo dentro, e col desiderio di protezione e il troppo amore che ci porta a metterci sempre davanti ai nostri figli, per far loro da scudo. I sensi di colpa derivano dal fatto che abbiamo sempre meno tempo di stare con i nostri bambini, e questo, quasi per una forma di compensazione, ci rende guardinghi e ipercritici nei confronti di tutte quelle figure professionali che con loro, invece, il tempo ce lo passano. E’ come se volessimo rivendicare, così facendo, la nostra autorità, visto che perdiamo sempre più autorevolezza.  Il fare scudo, invece, deriva dal fatto che i bambini inascoltati di ieri, quelli che hanno frequentato una scuola in cui era sempre “colpa loro”, oggi sono diventati adulti e genitori. E non ci stanno più, adesso possono finalmente farsi sentire, e vivono quasi un processo di transfert nei confronti dei propri bambini, come se fossero una seconda opportunità di rivalsa o lo strumento per una specie di inconscia rivincita sull’ autorità scolastica. Noi siamo stati quelli che, se prendevamo un brutto voto, una volta tornati a casa ci sentivamo pure il resto. A nessuno sarebbe mai venuto il dubbio che, magari, potesse essere stato l’ insegnante a spiegare male, la responsabilità era sempre e solo nostra. Per questo oggi, se a prendere un brutto voto è nostro figlio, ricadiamo nell’ estremo opposto: siamo noi che sempre più spesso andiamo a rimproverare l’ insegnante.  E’ il mondo all’ incontrario.
 
Lei dà molto valore al passato, alla sua infanzia, quando i ragazzi crescevano più liberi anche di sbagliare e quindi diventavano più autonomi. Ma quello di idealizzare il passato non è uno sport comune a tutte le epoche?
 
Non do particolare valore al passato o all’ infanzia, ne do all’ esperienza. Ed è inevitabile per me fare confronti con quando a scuola ci andavo io, ci andavamo noi. I nostri genitori e la «vecchia scuola», con i loro metodi a volte discutibili, ottenevano comunque l’ importante risultato di favorire lo sviluppo della nostra autonomia. Mentre noi, senza rendercene conto, stiamo garantendo il contrario: la continua dipendenza dei figli da noi. E le dipendenze sono sempre un problema.


Qual è la giusta distanza che possono tenere i genitori nei confronti della scuola?
Non ne esiste una “giusta”, ogni genitore troverà la propria, l’ importante credo sia ricordare che il nostro compito non è quello di stare un passo avanti ai figli nel tentativo di proteggerli, ma un passo indietro per essere pronti a prenderli se cadranno. La vita è loro, e dobbiamo lasciare che corrano i loro rischi. Questo naturalmente non significa che non dobbiamo vigilare e partecipare al loro cammino, vuol dire solo che il limite tra presenza e ingombranza può essere a volte sottile. Noi non siamo i paladini dei nostri figli, siamo i difensori dei loro interessi, e trasmettere il rispetto per gli insegnanti – che, non dimentichiamolo, sono le figure professionali alle quali abbiano delegato la loro educazione – dovrebbe essere il primo fra questi.
 
Lei ironizza anche sull’ utilizzo di Whatspp da parte dei gruppi classe dei genitori…

Diciamo che rido per non piangere. Capiamoci: io non ho nulla contro WhatsApp e le nuove applicazioni o tecnologie, le uso tutti i giorni anche per lavoro. Il fatto è che WhatsApp, o lo stesso Facebook, sono scatole vuote, e funzionano solo con ciò che ci mettiamo dentro noi, per questo siamo responsabili dei contenuti che produciamo. Possono dunque essere meravigliose opportunità di confronto e dibattito, oppure “luoghi” in cui mettiamo in scena il peggio di noi. Nelle chat di classe purtroppo accade anche questo: oltre all’ indubbia utilità per tenersi in contatto con gli altri genitori o scambiarsi i compiti, scoppiano spesso interminabili polemiche sugli insegnanti, con toni anche violenti, critiche rivolte a chi non è presente, a discapito della serenità della classe e di quella dei nostri figli. Diciamo che, secondo me, è uno strumento col quale molti di noi devono ancora prendere bene le misure, sottoscritto compreso.

Qual è il suo rapporto con gli insegnanti delle sue tre figlie?
Ottimo. Non perché io sia un genitore particolarmente illuminato o perché le mie figlie siano particolarmente brillanti. Ma semplicemente perché ciascuno si occupa del suo compito: io faccio il padre, le mie figlie fanno le studentesse, le maestre insegnano.  A ciascuno il suo.
 
Che appello vuole rivolgere ai genitori?

Non ho appelli da consegnare, nel senso che io sono, proprio come tutti, semplice portatore della mia esperienza, e mai mi sognerei di farla diventare un paradigma per tutti i genitori. Posso solo dire che l’ intento di “Sono puri i loro sogni” non è quello di attribuire le “colpe” di questo sistema di cose solo a noi genitori, santificando gli insegnanti. Anche gli insegnanti hanno, indubbiamente, la loro parte di responsabilità. Ma io penso che noi dobbiamo occuparci della nostra, di parte. Credo che per disinnescare ogni conflitto sia sempre meglio partire da sé stessi, assumersi le proprie responsabilità e interrogarsi su quello che noi possiamo fare per primi. Ogni relazione è composta da due elementi, perciò mutando il comportamento di uno, anche di poco, tutta la relazione evolve. Il mondo si cambia in questo modo, agendo su quel che possiamo, per quel che riusciamo. Solo così potremo smetterla di puntarci il dito a vicenda e cominciare a (ri)creare una nuova alleanza genitori-insegnanti. Perché abbiamo a cuore lo stesso interesse, visto che i nostri figli e i loro studenti sono gli stessi bambini. Non dovremmo scordarlo mai. 


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